I tempi dell’archeologia sono lenti. Venti anni, fra il 1981 e il 2000, per restaurare il vecchio antiquarium di Vetulonia. Ne valeva la pena: il Museo (sette sale) ha una sua leggera bellezza. Da non dimenticare: è vero che queste collezioni provengono dal lavoro degli archeologi, da ostinate campagne di ricerca, ma indispensabile è stata anche la generosità della gente di Vetulonia. Frammenti preziosi dei tesori di questa città sono riapparsi durante le arature, il taglio dei boschi, lo zappare degli orti, le semplici passeggiate dei contadini con i loro figli. Trovarono gioielli e ceramiche e, con il tempo, le donarono, con orgoglio, al museo.
Nella prima sala, dobbiamo un piccolo omaggio iniziale a una riproduzione in gesso: è la copia del Trono di Claudio. Venne alla luce, nel 1840, durante una campagna di scavi a Cerveteri e oggi si trova ai Musei Vaticani. Questo bassorilievo in marmo fu la scintilla che riaprì la caccia a Vetulonia. Vi sono raffigurate le personificazioni di tre città: Tarquinia, Vulci e la stessa Vetulonia. Era una prova. La città non era una leggenda. E quel frammento monumentale dava indizi: l’uomo che la ‘rappresentava’ aveva un timone in spalla. Vetulonia, dunque, era una città di mare.
Molti dei tesori di questo museo meritano un’attenzione particolare. La stele di Auvele Feluske, ad esempio. Questo segnacolo funerario ha varcato le porte del museo solo nel 2004. Sono passati duemila e seicento anni da quando fu scolpito. Ha reso felici gli etruscologi impegnati a decrittare la complessità della lingua di questo antico popolo. Attorno alla figura del guerriero vi è, infatti, un’iscrizione: non si voleva perdere la memoria di quest’uomo, un principe, e per questo si incise il suo nome e quello della sua famiglia. Per gli studiosi è stato come entrare in possesso di una bussola capace di restituire nuovi significati alla lingua degli Etruschi.
A distanza di un secolo, due campagne di scavo (Isidoro Falchi a fine ’800, la Soprintendenza toscana negli anni ’80 del ’900) hanno permesso di ricomporre uno straordinario fregio decorativo che si trovava nella casa etrusco-romana oggi conosciuta come domus di Medea. Bellissime queste terrecotte che raccontano, come un puzzle in rilievo, il mito drammatico di Medea. Chi volle costruirsi questa grande casa sulla via principale di Vetulonia credeva nella leggenda fondativa della città. Voleva onorare gli Argonauti. In quei tempi si voleva credere che fosse stato uno dei compagni di Giasone a murare la prima pietra di Vetulonia.
Medea aveva accompagnato il marito Giasone nella folle ricerca del vello d’oro attraverso il Mediterraneo. Ma, a Corinto, il capo degli Argonauti decise di abbandonare la moglie per sposare Creusa, la figlia del re della città greca. Impazzita di gelosia, Medea uccise, con un mantello avvelenato, la rivale e non ebbe pietà nemmeno per i propri figli. Volle privare Giasone perfino dei suoi eredi. Medea fuggì dal suo crimine su un carro trainato da serpenti. Tutto questo è narrato in una piccola sala del museo. Le terrecotte sono illuminate dalla luce della Maremma.
La città dei grandi e spregiudicati commerci ebbe l’umiltà di apprendere i segreti della bellezza. I navigatori e i mercanti etruschi avevano raggiunto i porti della Grecia e dell’Oriente mediterraneo. Erano viaggiatori curiosi e affascinati. Avevano alle spalle una storia di metallurgi, e osservarono interessati il lavoro di artigiani siriani e greci. Da loro appresero l’arte di sbalzare e battere l’oro, l’argento e il bronzo. Vetulonia, nel VII secolo avanti Cristo, accolse piccole pattuglie di orafi e argentieri orientali. E, in pochi decenni, i discepoli diventarono abili quanto e più dei maestri. Le botteghe artigiane di Vetulonia donarono lusso ed eleganza alle donne della città. Vennero affinate nuove tecniche. Con il pulviscolo d’oro, crearono meraviglie, gli orafi etruschi. Realizzarono filigrane sottilissime, incisero finemente bracciali e orecchini, erano capaci di lavorare lamine leggerissime. Impararono la tecnica della granulazione. Modellarono sirene, sfingi, chimere, leoni. Ammirati, oggi osserviamo il corteo di animali incisi su una fibula d’oro. Sono da invidiare le donne che, duemila e settecento anni fa, indossarono pendagli con teste femminili, raccolsero i loro capelli in lucenti fermatrecce, si abbellirono con spille stupefacenti. Splendido (sala C) il corredo funebre della tomba di poggio Pelliccia: chi vi fu sepolto ebbe con sé, per il suo ultimo viaggio, bronzi, ori, uova di struzzo istoriate, ceramiche corinzie.
La bellezza di questo museo archeologico è nei dettagli. In oggetti che sono miniature preziose. Era città potente, Vetulonia. Trafficava in metalli e minerali. Ma aveva eleganza, fasto, orgoglio. Sapeva acquistare monili e gioielli in luoghi lontani. Cercate nelle vetrine gli oggetti minuscoli, i reggivasi, i morsi per cavalli, i frammenti di vassoi portaofferte o il vasellame per i banchetti. È una piccola felicità scoprire questi piccoli tesori.
§ MUSEI DI MAREMMA - Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi - Vetulonia - Castiglion della Pescaia
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
Fotografie del Polo Museale della Maremma
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