L'area archeologica di Vetulonia è situata nel territorio di Castiglione della Pescaia, nei pressi della frazione di Vetulonia, e fu in gran parte portata alla luce da Isidoro Falchi, a cui è dedicato il museo di Vetulonia. Vetulonia (Vatluna ) fu una delle più importanti città etrusche e faceva parte della Dodecapoli etrusca ( l'unica altra città appartenente all'attuale maremma grossetana della Dodecapoli era Roselle). Vetulonia si sviluppò su un colle che oggi domina la Piana di Grosseto, in età etrusca ancora occupata dal Lago Prile, una laguna in collegamento con il mare su cui si affacciava anche Roselle e l'enigmatico insediamento di Monte Leone.
I primi insediamenti di Vetulonia risalgono al IX secolo a.C., insieme alle prime necropoli Villanoviane.
Il massimo sviluppo della città si ebbe nel corso del VII secolo a.C. con lo sfruttamento degli importanti bacini minerari del territorio.
Nel VI secolo a.C. Vetulonia si dotò di una forte cinta di mura in blocchi di calcare, mentre l'acropoli con i luoghi sacri si trovava poco più a nord-est, all'incrocio delle strade che salgono da Buriano e da Grilli.
Vetulonia mantenne relazioni commerciali sia con Roselle che con Populonia e conobbe un periodo di grande floridezza economica fino al V secolo a.C. e poi, dopo una temporanea crisi, nel III secolo a.C., epoca in cui la città coniò una propria moneta.
Area archeologica
L'area archeologica è una delle più vaste della Maremma e si caratterizza per le numerose suggestive necropoli che si articolano in:
Necropoli villanoviane, ove sono riconoscibili le più antiche tombe a pozzetto (situate prevalentemente alla sommità dei vari colli), in cui i pozzetti si raccoglievano entro grandi cerchi in pietra. Eccezionale fu il rinvenimento di urne cinerarie a capanna del periodo villanoviano, che sono più frequenti in territorio laziale.
Dell'epoca etrusca sono conservate altre necropoli che inizialmente si caratterizzavano per la presenza di tombe a fossa databili fra l'VIII e il VII secolo a.C., via via sostituite da rudimentali tombe a tumulo, accolte all'interno di un circolo di pietre inserite nel terreno verticalmente, fino alle grandi tombe monumentali della seconda metà del VII sec. a.C., a camera e costruite in muratura, con pietre irregolari e false volte.
Oltre al materiale villanoviano vi sono ritrovamenti relativi al VII secolo a.C., quando i corredi dei defunti presentano oggetti d'ambra, d'oro, d'argento e di bronzo che si ispirano a canoni orientali, segno dei frequenti contatti con marinai e mercanti che giungevano fin sotto la collina dove sorgeva la città.
Le tombe più fastose di questo periodo sono il Circolo di Bes, il Circolo dei Monili, il Circolo del Tridente, i due Circoli delle Pellicce, il Circolo dei Leoncini d'Argento, la Tomba del Littore e la Tomba del Duce. I vetulonesi all'epoca avevano una bella fama per la lavorazione del bronzo e dei metalli preziosi: spesso le tombe ritrovate ci hanno restituito specchi, candelabri, tripodi, incensieri insieme a gioielli, fibule, orecchini talvolta in filigrana e nella lavorazione detta "a granulazione", in cui gli Etruschi furono maestri. I materiali sono di prevalente fabbricazione locale e di imitazione, mentre scarso è il vasellame greco importato.
Di particolare interesse sono due tombe monumentali, la Tomba della Pietrera e la Tomba del Diavolino, conosciuta anche come Pozzo dell'Abate. La prima è una collina artificiale, delimitata da un tamburo di pietra che misura 60 metri di circonferenza; all'interno, due camere sovrapposte. Le sculture in pietra qui rinvenute ed esposte al Museo archeologico nazionale di Firenze, sono opere ormai mutile, anch'esse di fabbricazione locale e sembrano derivare gli spunti iconografici da oggetti in avorio o metallo. Datate alla fine del VII secolo a.C. sono forse le più antiche sculture in pietra a tutto tondo trovate in Etruria.
Musei di Maremma - Area Archeologica di Vetulonia
Qui trovate anche gli orari e le informazioni utili per la visita
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
Fotografie [1] da Archivio Effigi, [2] da Progetto Heba ONLUS
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STORIA IN BREVE
Non fatevi ingannare dalla sua attuale geografia collinare: Vetulonia era una grande città di mare, un importante porto minerario e metallurgico, sulle sponde della vasta laguna del Prile. Era un insediamento mercantile, una metropoli. Gli archeologi la considerano la ‘Milano dell’antichità’. Aveva il monopolio delle ricchezze minerarie dell’alta Maremma. Controllava le economie di territori che si spingevano dalle Colline Metallifere fino al lago dell’Accesa.
Nei tempi più arcaici visse secoli di grande vitalità: fra il IX e il VII secolo prima di Cristo, Vetulonia commerciava i suoi metalli con la Sardegna, il Vicino Oriente, la Grecia e le comunità dell’Europa centrale. Era una città di botteghe artigiane, centro di ricchezze e di opulenza, celebre per l’arte dei suoi bronzisti e dei suoi orafi. Maestri orefici, provenienti dall’Oriente, si erano stabiliti a Vetulonia, avevano donato il loro sapere ai giovani della città e insegnato nuove tecniche come lo sbalzo, lo stampo, la granulazione. Nei tempi irripetibili del VII secolo erano almeno ventimila gli abitanti della città etrusca. E la cerchia delle sue mura, negli anni dell’influenza romana, proteggeva un territorio che andava dall’acropoli conosciuta come Arce alla seconda acropoli, oggi chiamata Costa Murata. La città etrusca controllava un territorio che andava dalle colline metallifere fino al golfo di Follonica: il suo dominio era assicurato da insediamenti diffusi che sorgevano attorno agli approdi marini, alle miniere o ai grandi poderi coltivati.
Roselle e Populonia, vicini potenti, ne erano gelose e invidiose. Ma Vetulonia fu più tenace, sopravvisse al declino economico del V e IV secolo e all’inarrestabile espansione romana.
Nel 294 avanti Cristo, Roma mise a ferro e fuoco Roselle, ma risparmiò Vetulonia. Alla vigilia della prima guerra Punica, aveva, probabilmente, bisogno di alleati su cui poter contare in Etruria. La città cercò di convivere con l’invasore. Si ‘romanizzò’. Si aggrappò alla sua tradizione mercantile: gli scavi archeologici hanno restituito, mischiati assieme, monete e pesi sia etruschi che romani. Vetulonia mantenne una sua identità e, allo stesso tempo, si piegò alla ingombrante potenza di Roma. Costruì allora, ad ascoltare nuove ipotesi archeologiche, la grande cinta muraria che allacciava le acropoli dell’Arce e di Costa Murata. Arrivò ad avere una sua zecca. Nel III secolo avanti Cristo il numero dei suoi abitanti riprende a crescere. Sorge il quartiere etrusco-romano riportato alla luce dagli scavi di fine Ottocento di Isidoro Falchi.
Ma il destino della città non è di pace. Vetulonia non può evitare di rimanere coinvolta nella guerra civile romana (anni 80 prima di Cristo) fra Lucio Cornelio Silla e Gaio Mario: la città, come altri centri etruschi (Fiesole, Volterra, Populonia e Arezzo) si alleò con Mario. Il console romano, dopo sei anni di battaglie e complotti sanguinosi, venne sconfitto. La vendetta del dittatore Silla fu implacabile: scatenò i suoi eserciti per il territorio dell’antica Etruria. Vetulonia venne distrutta e data alle fiamme.
La città, con ostinazione, risorse ancora: nella prima epoca imperiale romana, gli anni di Tiberio e Claudio, vi fu un nuovo interesse per il mondo etrusco e notabili della capitale decisero di costruirsi ville e fattorie nelle colline della Maremma. Vetulonia è ancora citata fra i ‘populi’ dell’Etruria. Ma il lago Prile, oramai, cominciava a impaludarsi, i detriti del torrente Bruna e del fiume Ombrone insabbiarono il suo sbocco al mare e la malaria cominciò a flagellare queste terre. Perfino i viandanti passavano lontano da queste terre malsane. Vane furono le politiche di aiuto agli insediamenti maremmani varate dagli imperatori del III secolo dopo Cristo. La grande Vetulonia era oramai un piccolo villaggio. E, con la disgregazione dell’impero romano, perfino la sua memoria andò perduta. La metropoli dell’antichità venne dimenticata. Anche dalla geografia. Nessuno più ricordò Vetulonia. Il paese medioevale si chiamò prima Colonnata e poi Colonna di Buriano.
Passarono diversi secoli finchè alla fine dell'800 Vetulonia tornò alla luce per l'intuizione e la tenacia di Isidoro Falchi. Di seguito i dettagli della riscoperta.
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
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LA RISCOPERTA DI VETULONIA
ISIDORO FALCHI E L'INDIZIO DELLE TRE MONETE
Tutto ha inizio in un bel giorno di primavera del 1880 nel piccolo studio medico di Isidoro Falchi dove un amico gli ha appena poggiato sul tavolo tre antiche monete di bronzo.
Isidoro, che è anche un numismatico, vorrebbe giocare con quelle monete: sopra vi è inciso il profilo di un uomo dal naso ben pronunciato, in testa ha un copricapo dalla forma di un drago marino. Sul rovescio vi è un tridente affiancato da delfini. Gli occhi del medico diventano una fessura, aguzza il suo sguardo mentre scorre un dito sopra una scritta in rilievo sul diritto della moneta. Con le labbra quasi mormora quanto sta leggendo: Vatl. Ripete più volte il suono di queste lettere come per convincersi del loro significato. Isidoro Falchi sobbalza, sa di aver in mano qualcosa di più che un indizio. Fu subito certo che quelle monete provenivano da Vetulonia, la città etrusca scomparsa. La città del mistero, sognata da una moltitudine di cercatori di tesori, riappariva all’improvviso nelle stanza di un medico condotto. ‘Ho trovato queste monete fra i boschi della collina di Colonna di Buriano’, spiegò l’amico. Isidoro sapeva dove si trovava quell’altura: qualche decina di chilometri a Sud di Campiglia, poco oltre le paludi della Diaccia Botrona. Nel cuore della Maremma toscana.
Vetulonia, ‘la prima metropoli’, ‘la città capo d’origine degli Etruschi’, era semplicemente svanita. Fin dal Medioevo se ne era persa perfino la memoria. Era la sola, fra le dodici città della confederazione dell’Etruria, a non essere mai stata più localizzata. Non si sapeva dove avrebbe potuto essere. L’ultima traccia risaliva al 1204, quando, in un documento di scambio di terre, veniva ancora citato il castello di Vetulonia. Poi più niente. Lo stesso Isidoro Falchi, durante le ricerche per scrivere un libro sulle tradizioni maremmane, si era imbattuto nel toponimo mentre scartabellava, all’Archivio di Siena, un altro accordo di permuta di terreni fra i conventi di Sestinga e di Badia al Fango. Portava la data del 1181. Dopo quei tempi nessuno aveva più nemmeno nominato l’antica città.
Vetulonia era l’enigma archeologico di fine ‘800. Gli eruditi locali si accapigliavano come furie e ognuno di loro scommetteva, per ragioni di campanile più che di scienza, su ben otto luoghi diversi. Nel 1832, lo studioso volterrano Francesco Inghirami, senza alcuna prova reale se non qualche incerto documento medioevale, sostenne che si doveva cercare la città scomparsa nelle colline della Val di Cornia. Lo storico bolognese Leandro Alberti, tre secoli prima, aveva azzardato che le sue rovine andavano cercate a Viterbo. Il rebus di Vetulonia vagava per l’Italia centrale: la città etrusca, di volta in volta, era riapparsa a Vulci, a Orvieto o alla Marsiliana d’Albegna. I più testardi furono i massetani: sotto i portici della piazza principale di Massa Marittima avevano già murato una lapide che collocava Vetulonia sul vicino poggio Castiglione. Isidoro Falchi si passò le tre monete da una mano all’altra. Era certo di essere a un passo da una delle più straordinarie avventure dell’archeologia italiana. Vetulonia stava davvero per riemergere da quel silenzio nel quale era stata inghiottita sette secoli prima.
Isidoro Falchi, originario di Montopoli Valdarno, sedicesimo figlio (settimo maschio) di Luigi Falchi e di Bibbiena Grazzini, medico (una laurea ottenuta a vent’anni a Pisa) e numismatico, irredentista e garibaldino, consigliere comunale a Campiglia Marittima, era destinato a diventare uno Schliemann toscano. Un autodidatta stava per smentire gli accademici del tempo ed entrare nella storia dell’archeologia. Il 27 maggio del 1880, giorno del Corpus Domini, un venerdì di festa, Falchi si incammina lungo le strade sterrate della Maremma per raggiungere le colline di Buriano. Lo ricorderà sempre come ‘uno dei più belli episodi’ della sua vita. Erano passati pochi giorni da quando quell’amico aveva lasciato scivolare sul suo tavolo le tre monete di bronzo che avevano convinto Isidoro a compiere quel breve viaggio.
In treno Isidoro arriva alla solitaria stazione di Giuncarico. Qui affitta un calesse e continua la sua discesa verso Sud. Percorre le strade sterrate della Maremma. Probabilmente fino al paese di Grilli. Poi decide di proseguire a piedi: una ripida mulattiera lo avrebbe condotto fino alle case di Colonna di Buriano, arroccate su una collina che dominava le paludi della Diaccia Botrona e la costa tirrenica di Castiglione della Pescaia. Arriverà in paese alle undici del mattino. E’ ‘transudante’ per il caldo. Trafelato per l’emozione e per la fatica della salita. Gli abitanti del paese lo guardano come un ‘fuoriuscito o un latitante’. Ma, in realtà, Isidoro è raggiante: ha addosso l’entusiasmo di chi aveva già intuito di essere sulla strada giusta, aveva attraversato boschi che non riuscivano a nascondere gli immensi tumuli circolari che altro non potevano essere che grandi sepolcri etruschi. Quando raggiunse il vecchio paese, si soffermò ad ammirare il panorama che si specchiava negli acquitrini superstiti di quella grande insenatura lacustre che i romani conoscevano come il lago Prile: un tempo era una baia, un golfo ben riparato, luogo perfetto per il porto di una potente città. Isidoro passeggiò, con stupore, fra le case umide di Colonna e sfiorò con una mano pietre colossali: il paese medioevale sembrava nascere da impressionanti rovine etrusche. Quasi incredulo chiese ai paesani se conoscevano i ‘tanti nomi di confinazione’ che aveva letto in quel documento del 1181 scovato mesi prima negli archivi senesi. ‘Tutti li ritrovai’, annota con emozione. ‘Vetulonia era là’, scriverà, anni dopo, all’adorato figlio Gino. Sì, in quel giorno di primavera del 1880, Isidoro si convinse con uno sguardo che il più fitto mistero archeologico dell’800 si era dissolto. E come poteva essere altrimenti: in quel giorno di festa, Falchi aveva già osservato ‘colossali muraglie’, ‘tumuli maestosi’ e ‘tanti sepolcri già espilati sparsi in ogni parte del poggio’. Testimonianze imponenti che non potevano che ‘richiamare il pensiero alla celebre Vetulonia, situata per antica tradizione entro il contado di Massa Marittima’. Ipotesi che, ora, si dissolveva: Vetulonia sorgeva sul primo avamposto delle Colline Metallifere. Isidoro Falchi non aveva dubbi. Scrisse con orgoglio: ‘A Colonna, sul lago Prile, si conservano meravigliosi avanzi di città antichissima, monete in gran numero con l’abbreviativo di Vetulonia, con l’ancora, il tridente e i delfini; a Colonna una necropoli che non ha fine, mausolei portentosi, degni solo di città regale, e ricchezze archeologiche inaudite nei suoi sepolcri: ecco Vetulonia celebre, Vetulonia mater’.
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
Fotografie da Archivio Effigi
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GLI SCAVI DI ISIDORO FALCHI
Le necropoli
Vetulonia era stata una grande città e la sua memoria era nascosta dietro necropoli vastissime: una foresta, cresciuta nei secoli, aveva protetto i luoghi dei morti. Fra la fine dell800 e per quasi tutto il 900, gli archeologi sono stati più interessati ai cimiteri che non alle architetture dei vivi. Come dare loro torto: le tombe, a volte, restituivano tesori e corredi funerari che nessuna abitazione aveva potuto proteggere.
I primi scavi di Isidoro Falchi, assoldato mezzo paese in questo grande lavoro, cominciarono dai boschi: il medico di Campiglia disegnò un'autentica via dei Sepolcri e ricompose una mappa dettagliata e sorprendente di una estesa geografia funebre. Pensate: i suoi scavi hanno riportato alla luce, in pochi mesi, oltre un migliaio di "tombe a pozzetto", le più semplici e le più antiche della ritualità etrusca.
Nel maggio del 1884, Isidoro Falchi avvia le sue ricerche sull'altura di poggio alla Guardia, dosso nord-orientale della collina di Colonna. In meno di due mesi, i badilanti del paese sono accerchiati da almeno duecento "tombe a pozzetto".
Sono i sepolcreti primitivi, ultima dimora terrena di uomini e donne vissuti nell'età del Ferro, fra la fine del IX secolo avanti Cristo e gli inizi dell'VIII. Epoca villanoviana. I pozzetti sono disseminati ovunque: dal poggio alla Guardia al poggio al Bello, dal poggio alle Birbe al colle Baroncio. Toponimi folgoranti che rivelano agli scavatori ottocenteschi un formidabile mondo sotterraneo.
Le tombe a pozzetto sono buchi profondi appena un metro e chiusi da una lastra di pietra, a volte di forma discoidale. E l'epoca più antica, è l'arcaismo funerario di Vetulonia. I corpi dei defunti venivano cremati, le ceneri deposte in vasi di argilla grezza dal colore bruno e dalla forma di due coni sovrapposti. Umili i corredi: vasetti di argilla, rasoi e frammenti di lancia per gli uomini, spille o monili per le donne. Le tombe villanoviane ci dicono che la società vetuloniese era ugualitaria e dignitosa. Non erano ancora i tempi di gerarchie sociali.
La città dei vivi: Le antiche case di Vetulonia
Sullo scorcio di aprile del 1893, Isidoro Falchi abbandonò, per una primavera, i suoi frenetici scavi nelle necropoli per andare alla scoperta della città dei vivi, per la prima volta voleva inoltrarsi nell'abitato della Vetulonia etrusca. Finalmente voleva camminare fra le sue strade, ritrovare il reticolo delle case, dei negozi, delle taverne. Qui, a poggiarello Renzetti (dal nome della famiglia che possedeva questo terreno), gli scavatori assoldati dal medico di Campiglia dettero il primo colpo di piccone. Fu un altro, straordinario capitolo della storia archeologica di Vetulonia. Falchi e la sua gente andarono quasi a colpo sicuro: lo spigolo di un muro affiorava dalla collina. Da lì cominciarono a scavare.
Gli archeologi di fine Ottocento (ma anche quelli di gran parte del Novecento), andavano in cerca di tombe e tralasciavano le città dei vivi. Questa volta Isidoro Falchi forse si pentì di aver lasciato passare ben tredici anni prima di avviare le ricerche dell'abitato di Vetulonia. La città antica non se la prese più di tanto e fu generosa con l'archeologo dalla grande barba. Scrive Isidoro: "Il risultato di questi saggi fu superiore a ogni aspettativa
gli avanzi delle fabbriche cominciano a riapparire come a Pompei nelle stesse condizioni in cui rimase la città duemila anni addietro
".
In poche settimane di scavo, riappare un quartiere della Vetulonia romanizzata. Fra la fine del III e i primi decenni del I secolo avanti Cristo, la città è un satellite, con forte autonomia, della grandezza crescente di Roma. I badilanti di Falchi riportano alla luce una grande strada lastricata, botteghe, piccole domus, raffinate ville, strutture fognarie, vasche per la conservazione delle acque. La vita quotidiana di Vetulonia riemerge dall'antichità: ecco riapparire ceramiche, bronzi, strumenti in ferro, tegole e coppi. Accadono autentici miracoli: Falchi raccoglie centinaia di monete di bronzo e si convince che la Vetulonia romana aveva una sua zecca e un diritto di conio. Ai bordi della strada lastricata, spunta una "superba clava" in bronzo. E un'arma potente, lunga più di un metro e pesante ben 24 chili. Isidoro è certo che fosse stata impugnata dalla mano di una colossale statua di Ercole.
Vetulonia, dopo i grandi decenni del VII e VI secolo avanti Cristo, superata la crisi che l'avvolse fra il V e il IV secolo, conobbe certamente un buon periodo negli anni della prima espansione del potere di Roma.
Ma qualcosa dovette accadere nella prima metà del I secolo avanti Cristo: Vetulonia, come altre città etrusche, fu costretta a schierarsi nello scontro mortale che oppose, dall'88 avanti Cristo, Gaio Mario a Lucio Cornelio Silla. Fu la guerra civile che, per sei anni, insanguinò l'Italia centrale. Silla ne uscirà dittatore a vita e le sue vendette furono spietate. Volterra, Fiesole, Arezzo, Populonia e Vetulonia avevano scelto l'alleato sbagliato, furono fedeli a Gaio Mario e gli eserciti di Silla non aspettarono che pochi mesi per punirle una per una.
Gli scavi del 1892 rivelano subito, agli occhi di Falchi, che Vetulonia venne distrutta da un incendio. Non fu una sciagura, furono, probabilmente, gli uomini di Silla a radere al suolo la città. Fu una razzia devastante e crudele. Eppure Vetulonia non voleva scomparire. Non ancora, almeno. Seppe rinascere.
Notabili romani costruirono le loro ville di campagna in questo angolo di Maremma. Vennero erette grandi domus sull'altura di Costa Murata, a poca distanza dal poggiarello Renzetti. Vetulonia era quasi un mito per un mondo intellettuale romano che riscopriva la grandiosità del mondo etrusco. Dal poeta Silio Italico, vissuto nel I secolo dopo Cristo, sappiamo che fu Vetulonia a "passare" alla capitale i simboli (il fascio littorio, la toga di porpora, le sedie curuli, le trombe da guerra) che diventeranno i segni della sua potenza. L'imperatore Claudio, quarto sovrano di Roma, anche lui uomo del I secolo dopo Cristo, fu affascinato dal mondo etrusco ed ebbe un grande interesse per l'antico splendore di Vetulonia. La città maremmana, insomma, ebbe una sua gloria di provincia anche nei decenni dell'impero romano.
Gli scavi più recenti confermano che la città etrusca accompagnò Roma nel suo destino: fino al VI secolo dopo Cristo continuò ad avere una sua fama e la sua collina era ancora abitata. Solo con la dissoluzione dell'impero, Vetulonia scompare da ogni cronaca e muore con la lentezza di quei secoli oscuri.
Nel 1892 Falchi ha già una grande esperienza di scavi. La terra della collina di poggiarello Renzetti è rimossa con velocità. Ma i suoi passi calpestano anche le pietre di una bella strada lastricata. Per Isidoro, anche se non ha un andamento retto, questo è il decumano, la strada principale della città etrusca: "traversa il caseggiato dal basso all'alto" ed è costruita con "pietre poligonali spianate superiormente e inferiormente alquanto coniche posate sul terreno vergine". Sulla strada si affacciano case, botteghe, laboratori. Vi sono cisterne per la raccolta dell'acqua piovana (ancor oggi si riempiono ogni volta che piove), strutture di acquedotti, canali fognari. Due altre strade s'intersecano e risalgono il pendio: sono la Via Ripida e la Via dei Ciclopi (sono gli archeologi ad avervi apposto le loro targhe immaginarie). Falchi scende e risale questa strada. Allincrocio fra la Via Ripida e il decumano riporta alla luce la bottega di un fabbro. In una casa, dopo la rimozione delle macerie, scopre una bellissima vera, il parapetto di un pozzo. Libera il pavimento di un altro laboratorio e fra tegole spezzate ed embrici in frantumi trova due meravigliose statuette in bronzo. Sono due Lari, spiriti protettori della famiglia, raffigurazione di antenati. Si convince quasi subito che erano cadute dalla casa soprastante e allora si arrampica sul pendio e si dedica, con determinazione, allo scavo di una costruzione che davvero sembra la più bella abitazione della città di Vetulonia.
Ma, questa volta, Falchi non è tenace. Comincia a scavare la villa misteriosa solo nel 1896, ultimo anno delle sue ricerche in questo quartiere. Ha fortuna: trova subito bellissime lastre di terracotta. Forse capì che facevano parte di un più grande bassorilievo, ma non aveva più tempo. Lo scavo fu interrotto e mai più ripreso. Almeno fino agli anni '80 del secolo scorso quando il direttore archeologo della soprintendenza toscana, Mario Cygielman, non volle avviare nuovamente le ricerche là dove Falchi le aveva interrotte. Furono ritrovate così altre lastre di terracotta e, dopo mesi di studi, Cygielman si convinse di essere di fronte a una grande opera che narrava, nell'atrio di una villa, il mito disperato di Medea.
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
Fotografie da Archivio Effigi
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LA VIA DEI SEPOLCRI E LE ALTRE NECROPOLI
Imboccando la via dei Sepolcri la prima tomba che si incontra sulla sinistra è la Tomba Belvedere, databile fra la fine del VII e il VI sec. a.C.
Si tratta di una struttura a camera quadrangolare con corto dromos d'ingresso. Si conserva ancora l'architrave, mentre nulla resta del lastrone di pietra che chiudeva la camera sepolcrale. Nella camera funeraria si aprono piccole nicchie destinate ad accogliere gli inumati. La pseudocupola che ricopriva l'intera costruzione è interamente crollata
Testo tratto da MUSEI DI MAREMMA - Area archeologica di Vetulonia - Castiglione della Pescaia - Grosseto e la pianura
Fotografia di Opaxir [1]
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A qualche centinaio di metri dall'inizio della via dei Sepolcri, sulla destra, è la Tomba della Pietrera. La tomba, che trae il nome dall'uso perpetuato per secoli come cava di pietra, rappresenta il più grande monumento funebre di Vetulonia. Si tratta di un caso anomalo di due tombe sovrapposte: la prima costruzione, quella inferiore con camera funeraria circolare, costruita nel terzo quarto del VII sec. a.C., crollò durante la costruzione o subito dopo, forse per l'utilizzo di materiale non idoneo.
Colmata la prima tomba, perchè non più utilizzabile, fu intrapresa nell'ultimo quarto del VII secolo a.C. la costruzione di una seconda impostata sopra la prima, con camera quadrangolare e dromos di accesso, alle cui pareti si aprivano due piccole celle contrapposte. La struttura era coperta da una pseudocupola sorretta da un pilastro centrale tuttora conservato; il tutto era sormontato da un tumulo di terra.
La tomba della Pietrera, benchè già violata in tempi antichi, fu generosa con i badilanti di Isidoro Falchi. Le donne sepolte avevano portato con loro un piccolo scrigno di tesori dell'oreficeria vetuloniese: bracciali a fascia, filigrane d'oro ed eleganti collane a grani.
Particolarmente interessanti e suggestivi sono i frammenti scultorei che componevano otto statue in atteggiamenti rituali. Si tratta di otto statue a tutto tondo,in pietra calcarea, fra le più importanti della scultura etrusca, datate alla fine del VII secolo a.C.
La statua più ammirata ci risulta essere quella di una giovane donna dagli occhi a mandorla e lo sguardo severo. Il suo seno è nudo e le mani congiunte sul petto. I suoi capelli sono divisi, con eleganza, da una riga centrale. Indossa una preziosa collana e una cinta decorata con felini alati stringe la sua veste.
Le statue sono oggi conservate al Museo Archeologico di Firenze.
Testo tratto da MUSEI DI MAREMMA - Area archeologica di Vetulonia - Castiglione della Pescaia - Grosseto e la pianura
Fotografie di Guido Cervetti [1], di Opaxir [2-4] e di Sailko - Opera propria, CC BY 3.0, [5]
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La tomba del Diavolino 2, nota anche come la tomba del Pozzo dell'Abate, è considerata uno dei sepolcri più importanti della geografia funeraria etrusca. Insieme alla tomba della Pietrera è il monumento funebre più grandioso di Vetulonia.
Il cumulo di terra è limitato da un triplice filare di pietre squadrate di sassoforte, un tamburo che forma un circolo attorno alla tomba. Il dromòs è lungo e stretto: a cielo aperto il primo tratto, una porta ad architrave chiudeva l'accesso al corridoio coperto.
La camera sepolcrale è quadrangolare ed anche qui i manovali etruschi utilizzarono la tecnica dei pennacchi angolari per raccordare la pianta quadrangolare della camera mortuaria alla volta della falsa cupola.
Il pilastro che sorreggeva la volta è stato ricostruito intorno al 1980 con materiale plastico.
Da notare che Luigi Milani, soprintendente alla antichità della Toscana, ostinato avversario di Isidoro Falchi, mentre gli scavi erano in corso ebbe il coraggio sfrontato di smontare la tomba analoga detta del Diavolino 1 e di ricostruirla, pezzo dopo pezzo, nei giardini del museo Archeologico di Firenze.
Testi tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
Fotografie su concessione di Opaxir
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La tomba del Duce fu scoperta da Isidoro Falchi il 6 di aprile del 1886 sulla parte più elevata di Poggio al Bello che "non offriva a primo aspetto nessun segno certo di tombe" ma che Falchi, per la posizione "amena e ridente" e la "pratica acquisita" sospettò sin da subito "riserbato a tombe più sontuose".
In effetti la tomba del Duce, una tomba a Circolo del periodo Orientalizzante (terzo quarto del VII secolo a.C.) fu allora definita "la tomba più ricca tra tutte quelle finora scoperte nella necropoli vetuloniese". "L'abbondante suppellettile era disposta in 5 gruppi separati fra loro" e, in particolare, comprendeva il ricchissimo corredo del Principe etrusco Raku Kakanas, inclusa l'urna cineraria, un' arca in bronzo foderata in lamina d'argento opera probabilmente di artigiani siriani operanti a Cerveteri.
Il tipo di sepoltura a Circolo e i ricchi corredi rinvenuti a Poggio al Bello ci ricordano le necropoli orientalizzanti della Banditella e di Perazzeta alla Marsiliana d'Albegna.
ACADEMIA.edu NUOVE RIFLESSIONI SULLA TOMBA DEL DUCE DI VETULONIA di Giovanna Mandara e Simona Rafanelli.
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Testo di Progetto Heba onlus
Fotografie di Opaxir [1], di Sailko, CC BY 3.0, [2] , di Sailko, CC BY 3.0, [3] e di Sailko CC BY 3.0, [4]
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LA CITTA' DEI VIVI
Poggiarello Renzetti è il nome del primo abitato della antica città di Vetulonia che Isidoro Falchi, dopo 13 anni dedicati alle necropoli, decise, nel 1892, di portare alla luce.
In poche settimane di scavo riapparve un quartiere della Vetulonia romanizzata databile tra la fine del III e i primi decenni del I secolo avanti Cristo.
Il quartiere, dove etruschi e romani come in tutta la città convivevano in pace, si sviluppava lungo una strada basolata, il Decumano, su cui si affacciavano i principali negozi e le osterie. Risalendo il Poggio si entrava invece nella case aristocratiche più belle del tempo, come la casa di Medea.
Testi tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
Fotografie su concessione di Opaxir
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Per quasi venti anni, fra il 1990 e il 2009, non si è più scavato a Vetulonia. Il lavoro degli archeologi è ancora infinito sulla collina della vecchia Colonna di Buriano, ma spesso deve affrontare difficoltà a volte insuperabili. Solo nel 2009, l'archeologa Simona Rafanelli, direttrice del museo di Vetulonia, decide che è ora di rompere ogni indugio e convince la soprintendenza a riprendere gli scavi là dove si era fermato Falchi a fine '800 e dove non si erano spinte le ricerche degli anni '80 del secolo scorso.
La riapertura delle operazioni di scavo nel quartiere etrusco-romano della città di Vetulonia, in località Poggiarello Renzetti, ha riportato alla luce parte di una grande domus urbana, del III sec. a.C., articolata, nel settore orientale, in un'area riservata allo stoccaggio delle riserve alimentari, custodite entro grandi orci (dolia) rinvenuti in posto ancora in piedi e in anfore vinarie e olearie, e forse alla produzione di alimenti specifici, funzionali all'economia domestica, come sembra suggerire il piccolo ambiente lastricato in pietra destinato presumibilmente alla lavorazione delle olive.
Nell'area occidentale della domus, si sviluppava invece il settore residenziale e di rappresentanza, comprendente un vano rettangolare che conserva intatto il piano pavimentale in coccio pesto. La qualità degli arredi marmorei recuperati, unitamente a quella degli intonaci dipinti sulle pareti ed alla tipologia della pavimentazione, concorre ad evidenziare un ruolo di rilievo dell'ambiente all'interno della casa, presumibilmente identificabile con quello del triclinium, ove i signori della domus si ritrovavano a consumare i pasti distesi sui letti conviviali (klinai).
Adiacente ad esso, e quindi integrato nella parte residenziale dell'abitazione, si estende un ampio vano interpretabile come un ambiente di prestigio e di rappresentanza, il possibile tablinum, caratterizzato dall'occorrenza di un rivestimento pittorico assimilabile, nell'ornato, ad una sorta di primo stile pompeiano e di un piano pavimentale in opus signinum caratterizzato dalla ricercatezza degli elementi decorativi, ottenuta mediante l'inserimento nella trama del battuto in coccio pesto di tesserine di colore bianco e grigio scuro disposte a comporre motivi geometrici. Il vano sembra far sistema con uno spazio antistante, candidato a rivestire la funzione di atrium della domus affacciata sulla via dei Ciclopi, parallela nell'andamento alla cosiddetta via Ripida sulla quale si apre la cosiddetta domus di Medea. Il materiale ad oggi recuperato nel riempimento dei vani riportati in luce, databile fra il III ed il I secolo a.C., consente di fissare la data di distruzione della domus nei primi decenni del I secolo a.C., forse in concomitanza con le azioni di rappresaglia operate da Silla ai danni delle città etrusche che si erano schierate con Mario, all'indomani della vittoria riportata sugli eserciti di quest'ultimo.
§ Museo Civico Archeologico ISIDORO FALCHI : LA DOMUS DEI DOLIA
§ MIBACT - La Domus dei Dolia nel quartiere di Poggiarello Renzetti a Vetulonia
Testi tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
Fotografie di Opaxir [2,3,6,7,8] e di Andrea Semplici [1,4,5]
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La Casa di Medea si trova nella parte alta e più aristocratica di Poggiarello Renzetti.
La casa aveva due piani e tetto a quattro falde; si possono ammirare i resti del bagno, la cucina, la sala da pranzo e l'atrio che si apriva sulla stretta Via Ripida.
La casa fu scoperta da Isidoro Falchi, nel 1893, quando, durante la sua prima campagna di scavo dei quartieri urbani di Vetulonia, in una bottega della via lastricata aveva trovato due piccole statuette raffiguranti i Lari, divinità protettrici del focolare domestico. Subito intuì che erano cadute da una abitazione soprastante. Risalì il pendio e incominciò a riportare alla luce le strutture della più bella abitazione della città antica.
Riapparvero alcune lastre di terracotta. Forse capì che facevano parte di un più grande bassorilievo, ma non aveva più tempo.
Lo scavo fu interrotto e mai più ripreso. Almeno fino agli anni '80 del secolo scorso quando il direttore archeologico della soprintendenza toscana, Mario Cygielman, decise di avviare nuovamente le ricerche là dove Falchi le aveva interrotte. E fu così che vennero ritrovate altre lastre del grande bassorilievo che, nell'atrio della più bella villa etrusco-romana di Vetulonia, narrava il mito disperato di Medea.
Testi tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
Fotografie da Archivio Effigi
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Costa Murata è il nome del quartiere urbano che al di là di una antica destinazione religiosa (VI cec. a,C.) dopo la conquista romana e la distruzione della città da parte degli uomini di Silla durante la successiva rinascita si popolò di grandi domus di notabili romani.
Testi tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
Fotografie su concessione di Opaxir
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L'abitato di Costia dei Lippi si trova all'interno dell'odierno centro di Vetulonia nelle vicinanze del cimitero. Qui tra il III e I secolo avanti Cristo c'era un quartiere fiorente e vitale testimoniato dai resti di edifici che si erano sviluppati lungo una strada lastricata con marciapiede e canalette per il deflusso delle acque piovane.
Testi tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
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Le Mura dell'Arce sono le mura più antiche di Vetulonia, "sono mura ciclopiche, costituite da smisurati macigni disposti uno sull'altro senza cemento". Così le descriveva Isidoro Falchi alla fine dell'800.
Smisurate, ciclopiche, aggettivi destinati a identificare quella grande muraglia. Aggettivi che usa, nel 1919, anche l'archeologo Luigi Pernier, diventato oramai genero di Isidoro: "un imponente rudero lungo m.37,80 con uno spessore di circa m. 2" e composto "di enormi blocchi di calcare locale, non squadrati, ma solo irregolarmente spianati sulle facce esterne, uniti da loro senza calcina e con riempimento di pietre più piccole".
Oggi una piccola lapide ricorda quella secca annotazione: queste sono le Mura dell'Arce, le Mura dell'Acropoli, "in opera poligonale dette ciclopiche".
Quanto alla datazione la piccola lapide non ha dubbi apparenti sulle datazioni: le Mura dell'Arce risalgono al VI-V secolo avanti Cristo, il periodo di maggior splendore di Vetulonia. Solo che oggi questa certezza cronologica sembra vacillare. In fondo, la città etrusca non aveva, all'epoca, nemici dai quali difendersi, perché, allora costruire una difesa così imponente?
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
Fotografie da Archivio Effigi
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I tempi dell’archeologia sono lenti. Venti anni, fra il 1981 e il 2000, per restaurare il vecchio antiquarium di Vetulonia. Ne valeva la pena: il Museo (sette sale) ha una sua leggera bellezza. Da non dimenticare: è vero che queste collezioni provengono dal lavoro degli archeologi, da ostinate campagne di ricerca, ma indispensabile è stata anche la generosità della gente di Vetulonia. Frammenti preziosi dei tesori di questa città sono riapparsi durante le arature, il taglio dei boschi, lo zappare degli orti, le semplici passeggiate dei contadini con i loro figli. Trovarono gioielli e ceramiche e, con il tempo, le donarono, con orgoglio, al museo.
Nella prima sala, dobbiamo un piccolo omaggio iniziale a una riproduzione in gesso: è la copia del Trono di Claudio. Venne alla luce, nel 1840, durante una campagna di scavi a Cerveteri e oggi si trova ai Musei Vaticani. Questo bassorilievo in marmo fu la scintilla che riaprì la caccia a Vetulonia. Vi sono raffigurate le personificazioni di tre città: Tarquinia, Vulci e la stessa Vetulonia. Era una prova. La città non era una leggenda. E quel frammento monumentale dava indizi: l’uomo che la ‘rappresentava’ aveva un timone in spalla. Vetulonia, dunque, era una città di mare.
Molti dei tesori di questo museo meritano un’attenzione particolare. La stele di Auvele Feluske, ad esempio. Questo segnacolo funerario ha varcato le porte del museo solo nel 2004. Sono passati duemila e seicento anni da quando fu scolpito. Ha reso felici gli etruscologi impegnati a decrittare la complessità della lingua di questo antico popolo. Attorno alla figura del guerriero vi è, infatti, un’iscrizione: non si voleva perdere la memoria di quest’uomo, un principe, e per questo si incise il suo nome e quello della sua famiglia. Per gli studiosi è stato come entrare in possesso di una bussola capace di restituire nuovi significati alla lingua degli Etruschi.
A distanza di un secolo, due campagne di scavo (Isidoro Falchi a fine ’800, la Soprintendenza toscana negli anni ’80 del ’900) hanno permesso di ricomporre uno straordinario fregio decorativo che si trovava nella casa etrusco-romana oggi conosciuta come domus di Medea. Bellissime queste terrecotte che raccontano, come un puzzle in rilievo, il mito drammatico di Medea. Chi volle costruirsi questa grande casa sulla via principale di Vetulonia credeva nella leggenda fondativa della città. Voleva onorare gli Argonauti. In quei tempi si voleva credere che fosse stato uno dei compagni di Giasone a murare la prima pietra di Vetulonia.
Medea aveva accompagnato il marito Giasone nella folle ricerca del vello d’oro attraverso il Mediterraneo. Ma, a Corinto, il capo degli Argonauti decise di abbandonare la moglie per sposare Creusa, la figlia del re della città greca. Impazzita di gelosia, Medea uccise, con un mantello avvelenato, la rivale e non ebbe pietà nemmeno per i propri figli. Volle privare Giasone perfino dei suoi eredi. Medea fuggì dal suo crimine su un carro trainato da serpenti. Tutto questo è narrato in una piccola sala del museo. Le terrecotte sono illuminate dalla luce della Maremma.
La città dei grandi e spregiudicati commerci ebbe l’umiltà di apprendere i segreti della bellezza. I navigatori e i mercanti etruschi avevano raggiunto i porti della Grecia e dell’Oriente mediterraneo. Erano viaggiatori curiosi e affascinati. Avevano alle spalle una storia di metallurgi, e osservarono interessati il lavoro di artigiani siriani e greci. Da loro appresero l’arte di sbalzare e battere l’oro, l’argento e il bronzo. Vetulonia, nel VII secolo avanti Cristo, accolse piccole pattuglie di orafi e argentieri orientali. E, in pochi decenni, i discepoli diventarono abili quanto e più dei maestri. Le botteghe artigiane di Vetulonia donarono lusso ed eleganza alle donne della città. Vennero affinate nuove tecniche. Con il pulviscolo d’oro, crearono meraviglie, gli orafi etruschi. Realizzarono filigrane sottilissime, incisero finemente bracciali e orecchini, erano capaci di lavorare lamine leggerissime. Impararono la tecnica della granulazione. Modellarono sirene, sfingi, chimere, leoni. Ammirati, oggi osserviamo il corteo di animali incisi su una fibula d’oro. Sono da invidiare le donne che, duemila e settecento anni fa, indossarono pendagli con teste femminili, raccolsero i loro capelli in lucenti fermatrecce, si abbellirono con spille stupefacenti. Splendido (sala C) il corredo funebre della tomba di poggio Pelliccia: chi vi fu sepolto ebbe con sé, per il suo ultimo viaggio, bronzi, ori, uova di struzzo istoriate, ceramiche corinzie.
La bellezza di questo museo archeologico è nei dettagli. In oggetti che sono miniature preziose. Era città potente, Vetulonia. Trafficava in metalli e minerali. Ma aveva eleganza, fasto, orgoglio. Sapeva acquistare monili e gioielli in luoghi lontani. Cercate nelle vetrine gli oggetti minuscoli, i reggivasi, i morsi per cavalli, i frammenti di vassoi portaofferte o il vasellame per i banchetti. È una piccola felicità scoprire questi piccoli tesori.
La lastra riportata nella fotografia è solo una copia in gesso ma assai importante per la storia del ritovamento di Vetulonia. Venne alla luce tra il 1840 e il 1846 a Cerveteri durante gli scavi dell'antico teatro. Oggi si trova ai musei Vaticani.
Questo bassorilievo in marmo fu la scintilla che riaprì la caccia a Vetulonia.
Vi sono raffigurate le personalizzazioni di tre città: Tarquinia, Vulci e la stessa Vetulonia. Era una prova. La città non era una leggenda. E quel frammento monumentale dava indizi: l'uomo che la rappresentava aveva un timone in spalla. Vetulonia, dunque, era una città di mare. Il mito della città scomparsa riconquistò l'attenzione degli archeologi e riaprì il confronto/scontro sulla sua localizzazione.
§ MUSEI DI MAREMMA - Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi - Vetulonia - Castiglion della Pescaia
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2015; La Maremma dei Musei, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2012.
Fotografie del Polo Museale della Maremma
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