Le linee guida che hanno ispirato la progettazione del parco archeologico “Alberto Manzi: Città dei Vivi Città dei Morti” sono state due: attuare una conservazione integrata del patrimonio ambientale e architettonico riscoperto e consentire al visitatore di immergersi completamente nella storia di questi luoghi.
Passeggiando dunque nella “città dei vivi”, la fase dell’articolato villaggio protostorico dell’età del bronzo finale, attestato archeologicamente sulla rupe tufacea di Pitigliano, è rappresentato da un modello didattico di abitazione del tipo a capanna circolare, realizzato in dimensioni quasi al vero, mentre le abitazioni della città etrusca sono riprodotte dal tipo della casa etrusca con tre ambienti affacciati su un portico; un gioco di immagini permette di “affacciarsi” nella cucina, nella sala del banchetto e nel talamo nuziale della casa stessa.
Una via “cava”, ripida e tortuosa, conduce alla sottostante “città dei morti” immersa nella penombra del bosco. La necropoli etrusca del Gradone, con tombe a una, due e tre camere, è stata in uso per circa un secolo e mezzo (dalla seconda metà del VII al terzo quarto del VI secolo a.C.) ed ha restituito notevoli vasi sia di impasto locale con decorazione graffita sia d’importazione greca: principalmente coppe a figure nere. Da tempo le camere funerarie sono state svuotate dei loro arredi, ma in questo luogo è possibile visitare la tomba di Velthur e Larthia e rivivere la sacralità e le emozioni di una cerimonia funebre etrusca. Attualizzare con tecniche moderne la suggestiva idea di ricreare il solenne momento del commiato ai defunti già deposti sulle banchine funebri è sembrata la soluzione più efficace per una divulgazione scientifica adeguata ai tempi attuali, ma anche per rispondere alle domande che più frequentemente i visitatori pongono agli archeologi.
Dalla tomba di Velthur e Larthia, dopo aver superato con un moderno ponte in legno il torrente Meleta, si raggiunge la necropoli di San Giovanni. Qui, oltre ad alcuni monumenti funerari recentemente riportati alla luce, è possibile visitare la cosiddetta “Tomba del Frontone”, una struttura imponente che, allo stato attuale, costituisce la tomba più grande nota dalle necropoli di Pitigliano. Purtroppo il complesso è stato fortemente danneggiato, ma si può ancora leggerne agevolmente la pianta con un primo ambiente assai ampio provvisto di due grandi pilastri e cornice che corre lungo il perimetro; l’accesso al secondo ambiente era sormontato da un timpano a rilievo. La seconda camera, in asse con la prima, è più stretta; presenta la cornice alla sommità delle pareti, soffitto leggermente displuviato con columen a rilievo, il quale termina su un timpano anch’esso reso a rilievo. La tomba, ricostruita nelle parti mancanti, può datarsi tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C.
Testi e immagini tratti dal libro "Pitigliano - Alla scoperta della città e del suo territorio", Angelo Biondi e Franco Dominici, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2013.
Fotografia di Andrea Mearelli.
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