Visitare Capalbio ed il suo territorio è gratificante per chi considera la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio il principale fattore critico di successo per la crescita sostenibile della Maremma.
Ci piace pertanto introdurre questa guida con le parole di Emanuela Carpani, già Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Siena e Grosseto.
A pagina 19 del libro Capalbio - Storie di un castello di Felicia Rotundo e Bruno Mussari, anno 2012, Edizioni Effigi, così Emanuela Carpani si esprime: "Il patrimonio culturale, secondo l'accezione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (DLgs 42/2004 e succesive modifiche), comprende sia i beni paesaggistici che i beni culturali in senso stretto (architettonici, storico-artistici, archeologici, archivistici, librari). Indipendentemente dai soggetti che lo possiedono, esso riveste un particolare interesse pubblico, costituzionalmente protetto. Capalbio, come fortunatamente capita in moltissime realtà tipicamente italiane, possiede ancora questo sistema che unisce le bellezze paesaggistiche, gli spazi urbani dei centri storici, le architetture, i loro apparati decorativi e documentari, i resti delle antiche civiltà ed i nuovi inserimenti della creatività contemporanea di qualità"
Capalbio è un luogo di rara bellezza, una delle più preziose perle della Toscana, che ha saputo mantenere la sua identità e le sue caratteristiche attraverso i secoli, nelle alterne vicende che hanno caratterizzato la sua storia e la sua evoluzione.
Antico centro romano, dominato poi da potenti famiglie feudali, sottomesso "felicemente", come recita la famosa iscrizione tradotta da Gabriele d'Annunzio, alla Repubblica Senese, e poi ancora annesso al Granducato di Toscana prima e alle più grandi comunità vicine di Manciano ed Orbetello in seguito. Ed infine di nuovo Comune autonomo dal secolo scorso, Capalbio ha conservato la sua identità e ancora oggi mantiene, in feconda armonia, un suggestivo insieme di arte, natura e cultura popolare.
Qualcuno lo chiama l'ultimo paese della Maremma, rappresentando il confine tra Toscana e Lazio, altri scherzosamente sottolineano come il computer scriva automaticamente "Caparbio".
Certo è che Capalbio è un paese straordinario, che non può non rimanere nel cuore di tutti coloro che lo visitano. L'atmosfera che si respira è quella di un tranquillo borgo, immerso tra la campagna e il bosco. Ma c'è qualcosa di più: la posizione geografica, i panorami, la storia ed i monumenti, il mare e soprattutto la sua gente. Proprio i capalbiesi fanno di Capalbio un posto carico di energia, di amore per il territorio, per le tradizioni e cibi indimenticabili; un luogo colmo di saggezza.
Gli abitanti vivono in simbiosi con la loro terra e si percepisce un'osmosi tra l'energia del luogo e la loro, quindi l'energia è sempre intensa, e tutti coloro che approdano a Capalbio se ne accorgono, ne sono rapiti. Difficilmente infatti chi ha passato qui le vacanze non vi fa ritorno. Capalbio può contare così su una presenza turistica sempre crescente, che si potrebbe definire anche... affezione.
Iniziamo la scoperta dalle informazioni geografiche.
Il territorio di Capalbio si estende a sud della provincia di Grosseto e confina a nord con il comune di Orbetello, ad est con Manciano, ad ovest con il mar Tirreno ed a sud con il Lazio.
È composto da colline la cui altezza massima è di 424 mt s.l.m., dalla pianura e da 13 km di costa sabbiosa che include una fascia dunale e retrodunale in ottimo stato di conservazione, in particolar modo nella sua parte centrale.
Sono presenti 3 laghi: Acquato, San Floriano, Burano, tra i corsi d'acqua, ben 76, è da considerare il Chiarone che segna gran parte del confine con il Lazio. Celebri le sue macchie per storie e leggende legate al banditismo di fine Ottocento, ma anche per la tradizionale caccia al cinghiale.
Si tratta di macchia mediterranea sclerofilla composta prevalentemente da lecci (quercus ilex), sughere (quercus suber), filliree (ilatro), corbezzoli (arbutus unedo), eriche arborea e multiflora, alaterni e da un sottobosco composto da mirto, lentisco (pistacea lentiscus), tagliamani (ampelodesmos mauritanicus), rosmarino e cisto. Una curiosità: si trova sulle piante di corbezzolo una farfalla rara, la Charaxes jasius, che ha per buffo soprannome "la sbronzona", visto che beve alcolici con piacere. è una delle farfalle più belle e più grandi che esistano in Italia, con un'apertura alare che può arrivare a otto centimetri. La sua livrea è di un delicato velluto bruno orlato di arancione e traversato da una fascia d'argento, con riflessi verdi, lunule azzurre e guarnizioni rosse e bianche; le ali hanno due code. Per attirarla basta posare un bicchierino di birra, di vino o altri alcolici, perché essa arrivi e srotoli la sua cannuccia per tuffarla nel liquido che la inebria.
Altre farfalle: il Papilio Macaone, la Vanessa Pavone, che ha due straordinarie decorazioni a forma di occhi sulle ali, e altre bellissime Vanesse, o le Pieridi bianche con un neo nero come i pierrot, e le loro cugine giallo limone.
Presenza interessante nei prati e talvolta anche ai margini delle strade le orchidee selvatiche: ricordiamo la Orchis Simia, Orchis Papillonacea, le Ofridi Gialla e Fusca ed il Fior Ragno.
La parte pianeggiante, da Carige verso il mare, era in epoche primitive un golfo del mar Tirreno, ma essendo le correnti interne di un golfo più lente rispetto a quelle marine, il loro cozzare favorì lo sviluppo di due tomboli che, unitisi, chiusero il golfo trasformandolo in una laguna: è ciò che in piccolo, come in un museo a cielo aperto, si può vedere presso il lago di Burano.
Successivamente l'apporto dei detriti trasportati dai fossi ha formato la grande palude e tale la costa di Capalbio è rimasta per circa mille anni, fino alle bonifiche lorenesi, ma soprattutto a quelle realizzate tra le due guerre mondiali e che sono state oggetto, negli anni Cinquanta del secolo scorso, della Riforma Agraria. Le colture da quegli anni sono state soprattutto grano e girasoli, vigneti ed oliveti, che ad oggi rappresentano l'eccellenza delle produzioni di qualità. Per quanto riguarda i vini, ci sono infatti ben due DOC.
La pianura capalbiese, che dolcemente si estende fino al mare, è caratterizzata da un folto reticolo di canali di bonifica e da laghetti carsici ed insieme rappresentano un'importante realtà naturalistica.
I SIR - Siti di Interesse Regionale - sono ben sei, ed includono costa, mare e colline.
Un SIR [SIR 129 - Boschi delle Colline di Capalbio SIC] raggruppa le principali alture presenti nel comune, partendo dai poggi di Capalbiaccio (238 mt s.l.m.) a corona del lago di San Floriano, che si estendono verso nord-est con il Poggio Imperiale ed il Poggio dei Butteri, degradano verso il Fosso della Doganella e risalgono fino a 200 mt. s.l.m. con il Poggio del Sordo e 293 mt con il Poggio Forane. Presso l'abitato di Capalbio c'è il Poggio Monteti, fino a Monte Capita (330 mt) e Monte Cardello (321mt.). Le colline costituite prevalentemente da calcare cavernoso sono caratterizzate dal bosco ceduo con presenza delle specie diffuse nella macchia mediterranea: il cinghiale (sus scrofa), il capriolo (capreolus capreolus), il daino (dama dama), la lepre italiana ed europea (lepus corsicanus e lepus europaeus), il lupo (canis lupus), la volpe (vulpes vulpes), l'istrice (hystrix cristata) ed i mustelidi faina, donnola, martora, tasso e puzzola. Sono presenti rapaci diurni (poiane, gheppi, sparvieri, albanelle, ecc...) e quelli notturni (civette, gufi, allocchi, barbagianni, assioli), nonché la fauna avicola tipica delle macchie e delle aree agricole come ghiandaie, piccioni, tortore, gazze, cornacchie e passeriformi.
Altro SIR [SIR 130 - Lago Acquato, Lago di San Floriano SIC-ZPS] è rappresentato dai laghi Acquato e di San Floriano, due doline carsiche con la straordinaria presenza della lontra.
Attorno agli specchi d'acqua è possibile trovare la tipica vegetazione riparia come salici e pioppi, ed una nutrita schiera di uccelli: cinciarelle, allodole, rondini, merli, ballerine, pettirossi, usignoli, beccaccini, spatole, verdoni, aironi cinerini, germani reali, fringuelli, scriccioli, cardellini, capinere, porciglioni, pispole, folaghe. Di un certo rilievo le specie ittiche presenti come il cavedano, la carpa, la tinca ed il luccio.
Ricordiamo inoltre il Bacino dei Lagaccioli, tre specchi d'acqua posti a 106, 101 e 100 mt. s.l.m. ed il piccolissimo e recente lago del Marruchetone, formatosi circa trent'anni fa a causa del crollo di una cavità sotterranea.
SIR importantissimo [ne comprende ben tre: SIR 131 - Lago di Burano SIC, 132 - Duna Lago di Burano SIC e 133 - Lago di Burano SIC-ZPS] e Area Protetta del Sistema Provinciale è il Lago di Burano, menzionato tra i siti di maggiore biodiversità dalla Convenzione di Ramsar e gestito dal WWF dal 1967. Si estende parallelo alla costa per 140 ettari e le sue acque derivano dalla falda, dai canali e fossi di scolo, mentre il flusso con il mare, garantito da un canale, mantiene l'adeguata salinità.
L'area protetta include le dune, popolate dalla vegetazione psammofila ed alofita, capace di resistere al calore estivo, alle sollecitazioni dei venti ed alla salinità dell'ambiente: ammofila arenaria, eringio marittimo, soldanella, giglio di San Pancrazio, euforbia, pastinaca, ravastrello. Mentre all'interno troviamo ginepro, mirto, lentisco, rosmarino, giunchi e salicornie.
Il lago ospita anfibi come l'ululone, il rospo smeraldino ed il tritone, rettili (biacco, vipera comune, cervone, natrice dal collare, testuggine terrestre e tartaruga palustre), piccoli mammiferi come il riccio, l'istrice, il coniglio selvatico, la volpe, la donnola, la puzzola. Numerosissimi gli insetti: coleotteri, libellule e farfalle. Questo straordinario ambiente è famoso per essere uno dei più importanti siti europei per l'avifauna acquatica svernante, nidificante e migratoria, tanto da essere inserito tra i siti ICBP (International Council for Bird Preservation). Ricordiamo alcuni degli anatidi - anatre selvatiche: germano reale, folaga, tuffetto, codone, fischione, marzaiola, alzavola, mestolone, moriglione, moretta. Gli ardeidi: airone cinerino, airone bianco maggiore e garzetta.
Il rapace per eccellenza è il falco di palude, anche se è apprezzabile la presenza del gheppio. Talvolta è possibile vedere il fratino, la ghiandaia marina, le oche selvatiche, i cigni reali, le cicogne e l'occhione, specie a rischio estinzione con il tarabuso.
Con le stagioni varia anche la salinità del lago, dal 6 al 30%, ma nonostante questo e la poca profondità (circa un metro) vivono qui muggini, spigole, orate ed anguille, mentre quasi il 70% del fondo del lago è ricoperta dalla Ruppia marittima, che forma vaste praterie. Sui margini dello specchio d'acqua è possibile trovare la salicornia ed i giunchi.
L'altro SIR [SIR 134 - Isolotti grossetani dell'Arcipelago Toscano ZPS] è rappresentato dall'isolotto denominato Formica di Burano, grande meno di un ettaro (0,72 ha), costituito da calcare cavernoso, 5 mt. sul livello del mare. è colonia di cormorani e gabbiani.
La ridotta antropizzazione e la gestione oculata di macchie ed aree agricole, ecologicamente arricchite di fossi che mettono in comunicazione tra di loro i principali ambienti umidi del territorio, fanno di Capalbio uno degli ambienti meglio conservati della Provincia di Grosseto e tra i più interessanti d'Italia per la biodiversità.
Testi e immagini tratti su concessione dai libri: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012; Capalbio - Storie di un castello, Felicia Rotundo e Bruno Mussari, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di Andrea De Maria.
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Al III millennio a.C., quando inizia la lavorazione di metalli ed in particolare nella prima fase (Età del Rame), risalgono le tombe ritrovate in località Garavicchio.
In epoca etrusca il territorio capalbiese era sotto il controllo di Vulci, e nella zona del Chiarone sono state ritrovate sepolture che hanno reso buccheri e bronzi. Dal III sec. a.C. si assiste alla progressiva romanizzazione dell'Etruria. Nel 273 a.C. fu fondata la colonia di Cosa, e nell'87 Mario sbarcò a Talamone dove arruolò schiavi e contadini; la successiva guerra contro Silla portò dei profondi mutamenti, tra cui la crisi delle piccole proprietà terriere e la comparsa delle ville di età imperiale: Settefinestre e delle Colonne.
Dal II secolo d.C. il fallimento del metodo di produzione basato su vite ed olivo a causa della concorrenza delle province dell'Impero porta alla cerealicoltura ed alla pastorizia, che necessitano di minore mano d'opera. Inizia lo spopolamento. Le zone coltivate si trasformano in macchie ed il reticolo di canali di drenaggio della centuriazione romana, non più curato, portò al progressivo impaludamento dell'area costiera. Presso la Villa di Settefinestre, infatti, sono state rinvenute piante palustri in depositi archeologici dell'età severiana (III secolo d. C.). Questa è l'immagine che riportò il senatore Rutilio Namaziano nel componimento in distici elegiaci De reditu suo, quando, nel 414 risalendo lungo costa da Roma verso la Gallia, si accampa in questa zona. Cosa (che durante il medioevo prenderà il nome di Ansedonia) rimane il centro di riferimento dal IV al VI secolo, quando ormai la cristianizzazione della Maremma è completa; durante questo periodo le ville sono abitate da piccole comunità. Le sepolture rinvenute intorno ad esse ci hanno reso resti di individui giovani affetti da anemia mediterranea, alterazione congenita del sangue che rende immuni alla malaria, e la cui alimentazione era quella tipica dei pastori, basata sul consumo di carne.
Nell'XIII secolo, con un atto firmato dall'Imperatore Carlo Magno e da Papa Leone III, vengono concessi all'Abbazia delle Tre Fontane in Roma tutti i territori controllati da Ansedonia. Malaria e incursioni piratesche segnano il periodo abbaziale, tanto da indurre i monaci ad affidare il governo alla famiglia longobarda degli Aldobrandeschi. Probabilmente la prima enfiteusi risale al 1183, e il 26 ottobre 1216 Gugliemo controlla il sud della Maremma, incluso Capalbio. Nel 1293, con l'estinzione del ramo della famiglia Aldobrandeschi, la contea passa agli Orsini, che la governeranno fino al 1416, quando Capalbio fu conquistato da Siena
"anno 1416 nel nome del signore amen. addi' diciassette del mese di settembre agli effetti di pace, salvezza, del prenominato castello di capalbio, liberi possano vivere in pace cederono, assogettarono nel nome e interesse del magnifico e potente comune e del popolo di Siena, il castello di Capalbio, la fortezza, il cassaro, i fortilizi, il territorio, la curia, il distretto, i fossi, le carbonare, le appendizie, le selve, i boschi, i pascoli, le sorgenti, i ponti, i fiumi, i mulini e ogni altra cosa che appartener possa al detto castello, nonché, coi loro diritti e pertinenze, il dominio, il governo, ogni facoltà, potestà e giurisdizione del medesimo castello e i suddetti sindaci e procuratori, toccate le sacre scritture, promisero e giurarono...".
Erette nuove mura, restaurata la rocca, ed aggiunto un leone rampante allo stemma che fino a quel momento presentava solo una testa maschile calva, Capalbio rappresenta il confine a sud dei territori controllati da Siena. Nell'aprile 1555 le truppe spagnole alleate con i Medici conquistano Siena ed il 3 luglio 1557 Capalbio è assegnato a Cosimo I Medici; il Monte Argentario e parte dell'entroterra fino al Lago di Burano diviene lo Stato dei Presìdi Spagnoli, con capitale Orbetello. Né la Spagna né il Granducato di Toscana riconobbero all'Abbazia delle Tre Fontane la sua proprietà, e a questa rimane solo la giurisdizione religiosa del territorio fino al 25 marzo 1981, quando Papa Giovanni Paolo II dispone la cessazione del tratto toscano dell'Abbazia che viene unita alla Diocesi di Sovana-Pitigliano. Il Seicento rappresenta per Capalbio la fase di degrado dell'ambiente naturale. Le paludi occupano gran parte dei territori costieri ed una grave crisi agraria accompagnata da carestie ed epidemie comporta un forte decremento della popolazione.
Nel 1737, con l'estinzione della casata dei Medici, il Granducato è retto dalla dinastia degli Asburgo Lorena; l'avvento sul trono granducale di Pietro Leopoldo è una vera benedizione per la Maremma, essendo il suo impegno volto non solo alla sistemazione idraulica del territorio. Bonifiche quindi, ma anche costruzione di strade, maggiore attenzione all'igiene, l'esenzione dalla servitù per il pascolo, la cessione gratuita di case abbandonate, l'esonero dalle tasse, la cessione a titolo gratuito dei terreni da bonificare e la possibilità di farli ereditare. Capalbio così appare al Granduca Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, nella sua visita dell'8 aprile 1787:
"Capalbio resta sopra un poggio di faccia al mare e lungo la spiaggia del mare ha tutti pessimi paduli e terre basse. Questo è il paese più brutto, malsano, desolato di Maremma. Fa circa 150 anime e d'estate ve ne restano solo 40. Il paese è ignorantissimo, arbitrario e cattivo come la gente tutta dei confini. Le case del paese e nel sobborgo sono tutte rovinate, senza tetti, usci e finestre; anche il paese è sudicio, cattivo e mal selciato, vi è concio e sudiciume tanto nelle case che per le strade".
Del resto, la popolazione di quel periodo in tutta la Maremma vive non solo in un territorio particolarmente insalubre, ma è anche poverissima, abbandonata a se stessa, ignorante e spesso neanche il clero se ne occupa. L'arretratezza economica e sociale, rapporti di tipo feudale nell'ambito della proprietà terriera concentrata in latifondi, la palude, la malaria, il duro lavoro dei bifolchi, dei segatori e dei contadini: questa è la sintesi della vita a Capalbio tra il 1600 ed il 1800. La vita media, del resto, è calcolata nel fiorentino essere di 33 anni, mentre qui di 19, con un'elevatissima mortalità infantile. Ancora Pietro Leopoldo:
L'opera dei Lorena è tale che, chiusa la parentesi napoleonica, si nota un miglioramento delle condizioni di vita, specialmente con il governo del nipote di Pietro Leopoldo, Leopoldo II, salito sul trono granducale nel 1824 e magnifico amministratore della Toscana. Le bonifiche, la redazione di un catasto, la realizzazione di strade ed acquedotti, importanti sgravi fiscali ed obbligo di mettere a coltura i terreni pena l'esproprio, la separazione dello Stato Senese e la creazione della Provincia di Grosseto, portano vero e proprio "risorgimento" di queste terre, ed il Granduca annota che gli abitanti sono "più civili". Nel 1860 la Toscana entra a far parte del Regno d'Italia e le "attenzioni speciali" che la Maremma aveva avuto durante il periodo granducale vengono meno, facendo ripiombare il territorio in una desolante situazione. La ricchezza concentrata nelle mani dei pochi latifondisti (Collacchioni, Vivarelli Colonna) ed una diffusa miseria sono gli elementi che fanno sviluppare il fenomeno del banditismo, il cui più famoso rappresentante è Domenico Tiburzi.
Il progressivo impoverimento dell'agricoltura costringe i Collacchioni e le altre famiglie a costituire nel 1922 una società agricola per azioni denominata "Società Anonima Capalbio Redenta Agricola", "S.A.C.R.A.", che dà lavoro a 145 operai. Intanto le bonifiche risanano i paduli costieri, si costruiscono ponti e cateratte, si fanno colmate; la qualità della vita è modesta, ma si sta equivalendo in tutta la Maremma.
Fortunatamente la Seconda Guerra Mondiale risparmia le mura e la rocca, e nel 1951 la creazione dell'Ente Maremma costituisce la vera rivoluzione rispetto all'agricoltura di tipo medievale. L'anno successivo la Riforma Agraria comporta un moderno sviluppo dell'agricoltura, la distribuzione ai contadini delle terre bonificate e di quelle un tempo occupate dal latifondo, la costruzione di strade e dei tipici poderi che punteggiano la campagna capalbiese. Nel 1960 Capalbio ottiene l'autonomia amministrativa da Orbetello ed inizia quel percorso virtuoso di valorizzazione del proprio territorio che porta ad uno sviluppo agricolo importante, alla creazione di una DOC omonima, ad avere un sempre crescente ruolo nell'ambito del turismo nazionale ed internazionale, con una particolare cura alla tutela dell'ambiente, guadagnando per questo le 5 Vele di Legambiente.
Testi e immagini tratti su concessione dai libri: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012; Capalbio - Storie di un castello, Felicia Rotundo e Bruno Mussari, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografia di Bruno Bruchi.
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La visita del paese inizia da Piazza Belvedere, un ampio spazio da cui la vista mozzafiato si apre verso sud est, dalle colline ricoperte di macchia mediterranea alla costa. Al centro c'è un vero tesoro: l'opera di Niki De Saint Phalle Nanà, del 1999.
Si accede al paese dall'antiporta, ricavata distanziando il giro esterno delle mura a costituire così il Rivellino. In alto i camminamenti delle guardie che dovevano assicurare la difesa della Porta Senese, costruita nelle attuali forme quando Capalbio passò sotto il controllo della Repubblica di Siena e che reca la lapide del 1418 a ricordo della ristrutturazione delle mura e uno stemma mediceo del 1601, inserito dopo l'annessione di Capalbio al Granducato di Toscana.
Da Piazza Magenta, un gioiello medievale, tipico esempio di piazza conclusa, in cui durante la stagione estiva si organizzano eventi culturali, si accede al camminamento delle guardie tramite una scala; percorrendolo, il panorama spazia verso il confine tra Toscana e Lazio, il mare, il laghi di Burano e di San Floriano, l'Argentario e la campagna curata. Attraversando il piccolo dedalo di stradine di impianto medievale, tramite via Collacchioni si raggiunge la Rocca Aldobrandeschi ed il Palazzo Collacchioni.
L'interno è visitabile (al pian terreno l'Ufficio Informazioni Turistiche del Comune).
Guardando la facciata del Palazzo Collacchioni, alla sua sinistra troviamo il secondo accesso al paese, da cui si gode una straordinaria veduta: la macchia mediterranea foltissima è intatta, lo stesso scenario di secoli fa. Sempre partendo dall'ingresso del Palazzo, dirigendoci verso destra e costeggiando la torre, ci troviamo di fronte alla Chiesa di San Nicola, sul cui fianco si eleva la torre campanaria (XII secolo), la cui sommità presentava una cupola in stile senese.
Uscendo dalla chiesa giriamo a sinistra, e troviamo l'Arco Santo, nel quale è incastonato una testa maschile in marmo, forse un ritratto dell'imperatore Adriano del II sec. d.C., proveniente dalla vicina città di Cosa.
Il centro storico è tutto un rincorrersi di vicoli, scalette e piazzette, varchi che si aprono sulla campagna circostante, palazzi di prestigio, archetti e portoni, fregi e simboli stratificati.
Uno vero scrigno di arte e storia.
Testi e immagini tratti su concessione dai libri: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012; Capalbio - Storie di un castello, Felicia Rotundo e Bruno Mussari, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di Andrea De Maria [1,4] Bruno Bruchi [2,3] e Archivio Effigi [5].
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Al centro della Piazza Belvedere, dalla quale inizia la visita al borgo murato, c'è un vero tesoro di arte moderna, la Nanà che Niki De Saint Phalle realizzò e donò al Comune di Capalbio nel 1999, pochi anni prima della sua scomparsa, avvenuta a San Diego nel maggio del 2002. La Nanà di Piazza Belvedere proietta Capalbio nel circolo globale delle Nanà e è nel contempo un invito indeclinabile a visitare il Giardino dei Tarocchi.
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di autore ignoto [1], Andrea De Maria [2], Mari Carmen Sainz Morenilla [3], Teresa Nordic [4].
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Le mura di Capalbio si presentano come una caratteristica doppia cerchia, con la cinta interna, più alta, di epoca medievale e quella esterna, più bassa, rinascimentale.
La prima fu costruita dagli Aldobrandeschi tra l'XI ed il XII secolo con funzioni di difesa e di avvistamento del borgo sviluppato intorno alla Rocca. Nel corso del Quattrocento, la Repubblica di Siena ordinò la ristrutturazione e l'ammodernamento della primitiva cerchia. Durante questi interventi furono edificate le mura più esterne con la realizzazione del Rivellino a protezione della cinta muraria più antica e la costruzione della Porta Senese.
Dalla ristrutturazione da parte della Repubblica Senese, le mura sono rimaste pressoché intatte fino ai giorni nostri. Recenti interventi di restauro conservativo hanno riportato il monumento agli antichi splendori.
Le mura sono intervallate da una serie di torrioni, la quasi totalità a base quadrata, con archibugiere. Le cortine murarie presentano tratti di basamento a scarpa sul lato esterno e coronamenti di merlature sommitali; alcuni tratti coincidono con pareti esterne di edifici, dove vi si aprono porte e finestre.
Da Piazza Magenta si accede al camminamento delle guardie tramite una scala.
Testi e immagini tratti su concessione dai libri: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012; Capalbio - Storie di un castello, Felicia Rotundo e Bruno Mussari, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di Bruno Bruchi [4], Andrea De Maria [1,2] e Bruno Mussari [3,5,6,7,8].
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Piazza Magenta è un gioiello medievale, tipico esempio di piazza conchiusa, in cui durante la stagione estiva si organizzano eventi culturali. Da essa si accede al camminamento delle guardie tramite una scala; percorrendolo, il panorama spazia verso il confine tra Toscana e Lazio, il mare, il laghi di Burano e di San Floriano, l'Argentario e la campagna curata.
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografia di Bruno Bruchi.
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La Rocca (al pian terreno l'Ufficio Informazioni Turistiche del Comune) fu edificata nel corso del Duecento dagli Aldobrandeschi, che fortificarono l'intero abitato, controllandolo a vicende alterne fino alla fine del Trecento, quando la persero a vantaggio degli Orsini di Pitigliano.
La permanenza di Capalbio nella Contea degli Orsini fu, tuttavia, molto breve, a causa della conquista da parte dei Senesi avvenuta agli inizi del Quattrocento. Da allora, la Rocca fu uno degli avamposti più a meridione della Repubblica di Siena.
I Senesi eseguirono lavori di ristrutturazione, conferendole l'aspetto attuale.
La torre costituisce il nucleo originario del complesso e si presenta con una merlatura sommitale che poggia su mensole a racchiudere archetti ciechi.
Testi e immagini tratti su concessione dai libri: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012; Capalbio - Storie di un castello, Felicia Rotundo e Bruno Mussari, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di www.fototoscana.it [1], Archivio C&P Adver [5], Bruno Mussari [2] e Andrea De Maria [3,4].
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Il Palazzo fu edificato nei primi anni del Novecento in stile eclettico neo rinascimentale, in posizione attigua alla torre che fu annessa all'abitazione. Il proprietario era il Senatore Giovanni Battista Collacchioni (1810-1895), originario di Sansepolcro, appartenente all'alta borghesia risorgimentale e fautore dell'annessione del Granducato di Toscana al Regno d'Italia. Il fabbricato si sviluppa su tre livelli, il portale conduce al cortile interno dove è collocato un pozzo per la raccolta d'acqua nella sottostante cisterna interrata. Al suo interno sono conservati affreschi e caratteristici mobili d'epoca, tra cui anche il Fortepiano Conrad Graf, usato anche da Giacomo Puccini che spesso soggiornava presso la non lontana Torre della Tagliata.
Testi e immagini tratti su concessione dai libri: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012; Capalbio - Storie di un castello, Felicia Rotundo e Bruno Mussari, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di Andrea De Maria [2,3,4] e Matteo Vinattieri [1].
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La Chiesa di San Nicola, sottoposta alla diocesi di Castro, fu costruita in epoca medievale tra il 1120 ed il 1140 dagli Aldobrandeschi che allora dominavano su Capalbio, in sostituzione dell'antica pieve di Santa Maria situata fuori dalle mura castellane e il vescovo di Castro, Adamo (1134-1177) decretò lo spostamento del fonte battesimale di quella dentro la nuova chiesa.
In epoca trecentesca furono effettuati alcuni interventi che introdussero, nel primitivo e originario impianto romanico, nuovi elementi tipici dello stile gotico. Nel tardo Quattrocento furono inseriti elementi decorativi rinascimentali, in occasione degli importanti lavori di restauro intrapresi nel 1464 e conclusi nel 1466 come testimonia l'iscrizione collocata sopra il portale di ingresso
Nella seconda metà del secolo XVIII la chiesa, come gli altri edifici del paese, versava in grave degrado. Importanti lavori di restauro della chiesa furono eseguiti in più fasi a partire dalla seconda metà dell'Ottocento. Tra gli interventi più incisivi, che tuttavia non determinarono modifiche alla struttura architettonica della chiesa fu il conferimento, in linea con il clima culturale dominante dell'epoca, di uno stile più propriamente neomedievale all'edificio, ottenuto mediante la partitura pittorica della facciata a fasce bianche e nere, riproposta anche sulle pareti interne e la decorazione delle volte con i motivi ornamentali geometrici tipici della cultura purista. Anche nel Novecento la chiesa è andata soggetta a importanti restauri. In particolare ricordiamo quelli che dal 1934 al 1936 portarono allo scoprimento degli affreschi sotto l'intonaco delle cappelle laterali e quelli del 1966 che, con la rimozione dell'intonaco ottocentesco a fasce bianche e nere della facciata hanno riportato alla luce la decorazione a graffito che sembra risalire al XVII secolo.
In merito al campanile non sappiamo come si presentasse in origine nella parte terminale; esso mostra oggi una struttura romanica ma termina con una guglia che costituisce con evidenza un'aggiunta successiva operata forse verso la fine del Seicento.
La facciata a tre ordini, estremamente semplice, si caratterizza per il portale di ingresso sovrastato da un arco gotico a sesto acuto, sopra il quale si apre un rosone. Il punto apicale della facciata culmina con una croce poggiante su un piccolo basamento.
L'interno si presenta a navata unica, suddivisa in campate con volte a crociera, affiancata da una serie di cappelle laterali di forma semicircolare, separate tra loro da pilastri con pregevoli capitelli sommitali, su cui poggiano gli archi della navata.
Vi sono affreschi di scuola senese del XIV secolo e di scuola umbra del XV secolo.
Iniziando da destra troviamo:
I cappella- Cappella di Santa Lucia. Madonna con Bambino tra Santi e Sante, sono riconoscibili San Cristoforo e Santa Lucia. A destra un santo monaco, a sinistra San Tarcisio con il calice.
II cappella - Cappella di San Pietro. Madonna in trono con il Bambino, ed in basso una donna, probabilmente la committente e nubile, poiché rappresentata a capo scoperto. A destra della Madonna, San Pietro ed a sinistra San Bernardino da Siena, patrono del paese, ed uno stemma gentilizio recante le iniziali “B.R.”, riconducibili all'offerente.
III cappella . A seguito dei lavori di restauro del 1966 fu scoperto un pregevole affresco raffigurante l'Arcangelo Gabriele annunciante, ed immaginiamo che alla sua destra vi fosse dipinta la Madonna; purtroppo l'imperizia dei restauri hanno fortemente pregiudicato l'opera.
A sinistra:
I cappella - Cappella del Battesimo di Cristo. Con il fonte battesimale ed un affresco del 1937 realizzato dal prof. Bagarini di Siena, rappresentante il Battesimo di Gesù nel Giordano e nelle pareti laterali è raffigurato il Buon Pastore, la Samaritana e la Maddalena. Probabilmente qui esisteva un precedente affresco distrutto nel 1800.
II cappella. Madonna con Bambino in trono. Ai lati, in nicchie terminanti ad arco, sono rappresentati santi, tra cui Santa Caterina, San Giovanni Battista, San Nicola, San Lorenzo, Santo Stefano e San Francesco. Quest'opera è attribuita ad Ambrogio Lorenzetti, o comunque alla prestigiosa Scuola Senese del Trecento.
III cappella - Cappella degli Angeli Musici. Al centro, in alto, sono raffigurati angeli musicanti, e sotto uomini e donne oranti, per cui si ritiene che al centro ci sia stata la figura di un santo, a cui era rivolta la devozione del paese. La presenza di gioielli quattrocenteschi richiama il Ghirlandaio, l'artista fiorentino con una particolare attenzione ai dettagli ed un stile “cittadino”. La presenza di perle richiama il simbolo di purezza per eccellenza: la Madonna.
In ogni cappella è rappresentata la Madonna. Questo fa pensare a cicli votivi, con fine salvifico. La luce filtra all'interno attraverso due lunotti presenti sulla navata sinistra.
Il presbiterio è lievemente rialzato e nella pianta si notano altri due sbalzi: due gradini all'altezza della terza crociera, un altro che immette al piano del presbiterio: probabilmente la parte terminale della chiesa attuale era il nucleo originario dell'edificio.
Testi e immagini tratti su concessione dai libri: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012; Capalbio - Storie di un castello, Felicia Rotundo e Bruno Mussari, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di Bruno Bruchi [1] e Andrea De Maria [2-9].
Le immagini si riferiscono a beni di proprietà della Diocesi di Pitigliano Sovana Orbetello e sono qui pubblicate su autorizzazione concessa dal relativo Ufficio Beni Culturali.Il testo di questa scheda è coperto da Copyright e ne è quindi vietata la copia, la riproduzione anche parziale o l'utilizzo con qualsiasi mezzo.
Tutte le immagini, se non diversamente indicato, sono di proprietà dell'autore e coperte da copyright.
Inoltre si sottolinea che le immagini di beni culturali ecclesiastici pubblicate in questa scheda non possono essere riprodotte senza la preventiva autorizzazione dell'Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Pitigliano, Sovana, Orbetello.
Fuori dalle mura, nella piazza omonima, troviamo l'Oratorio della Provvidenza. Originariamente era una cappella sorta per il culto di un'immagine perduta. Alla fine del Settecento fu costruito un nuovo edificio, lasciando la cappella ad un livello più basso; al 1792 risale la nuova effigie mariana di Pietro Calderoni.
Rilevanti sono gli affreschi dell'inizio del XVI secolo, attribuiti al Pinturicchio o a un suo stretto seguace. Nella parete di fondo, la Madonna col Bambino, San Gerolamo e San Sigismondo; a sinistra, entro un porticato dai poderosi pilastri decorati a grottesche, i Santi Cosma e Damiano, probabilmente invocati dai capalbiesi in occasione di pestilenze o altre epidemie. A destra, lo stesso tipo di portico racchiude la rappresentazione della Trinità.
Le figure sono inserite in un contesto paesaggistico particolarmente curato e ricco di dettagli, idealizzato, com'era uso nel XV secolo.
Testi e immagini tratti su concessione dai libri: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012; Capalbio - Storie di un castello, Felicia Rotundo e Bruno Mussari, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di Andrea De Maria [2,3,4,5] e ignoto [1]
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Nel territorio comunale ci sono le frazioni (da nord):
La Torba, piccolo borgo collocato lungo la via Aurelia, con la Chiesa del Sacro Cuore di Gesù, fatta costruire negli anni Cinquanta dal Vescovo di Grosseto, Monsignor Paolo Galeazzi. C'è un'ampia zona artigianale, l'area agricola ed una zona residenziale situata sulla costa, chiamata Torba Mare.
Giardino, piccolo gruppo di case in cui nel 1945 fu costruita la Chiesa Parrocchiale.
Capalbio scalo, sorto nel secondo dopoguerra presso lo scalo ferroviario, ha vocazione residenziale e commerciale.
Selva Nera si è sviluppata intorno alla Torre di Selva Nera, che faceva parte del sistema di avvistamento costiero realizzato dai Medici alla fine del 1500 ed aveva la funzione di difendere l'ultimo tratto di costa del Granducato e Capalbio stessa.
Borgo Carige, centro rurale sorto alla metà del secolo scorso. Il borgo si sviluppa intorno a piazza della Repubblica, nella quale nel 1956 fu costruita la Chiesa del Cuore Immacolato di Maria, in un semplice stile neo romanico-francescano, con pianta basilicale a tre navate con presbiterio semi ottagonale. L'esterno è in tufo di Viterbo con porta in peperino con mosaico di Carlo Vittorio Testi ed il rosone con una crocefissione di Alfio Castelli. All'interno ciclo di affreschi realizzati nel 1958 dal Testi con i ritratti dei personaggi legati alla riforma agraria. Il primo nucleo fu creato sotto l'impulso della Riforma Fondiaria dall'Ente Maremma, ed oggi vede un ampio sviluppo residenziale e commerciale. Attigua, in direzione Capalbio, sorge Carige Alta.
Chiarone prende il nome dal fiume che rappresenta il confine tra Toscana e Lazio, sorge all'estremità sud del territorio comunale e regionale. La frazione si formò intorno al Palazzo del Chiarone, del 1500, che fu adibito a dogana dallo Stato Pontificio. Circa due chilometri distante sorge Chiarone Stazione, lungo la linea ferroviaria.
Garavicchio, piccolo agglomerato rurale situato tra Chiarone e Pescia Fiorentina, ospita il celebre Giardino dei Tarocchi.
Pescia Fiorentina, nella cui campagna sorgeva un'altra dogana pontificia, ospitata nella Villa del Fontino, oggi trasformata in residence agrituristico. Il complesso siderurgico della Ferriera (XV secolo) che continuò la sua attività fino al XIX. Si hanno notizie dei forni fusori in attività già dal 1416, nel 1615 un ispettore del Granduca Cosimo II, parla di "vivace attività", essendo in funzione due fuochi ed un maglio. Durante il granducato di Leopoldo II d'Asburgo Lorena fu dato un grande impulso alla lavorazione della ghisa e da venti lavoranti nel 1839, la ferriera contava nel 1850 140 operai impegnati su 4 forni ed un altoforno. Dal 1778 il complesso fu di proprietà della famiglia Vivarelli Colonna, e alla fine dell'attività industriale concorse anche la prematura scomparsa di Francesco (1865).
Nel 1880 gli edifici erano già adibiti ad uso agricolo.
Da ricordare inoltre le località: Nunziatella, Torre Palazzi, Vallerana.
La Villa delle Colonne è una villa romana che fu abitata tra il I secolo a.C. ed il II d.C e che si trova in località Giardino, nel comune di Capalbio.
Le ville di età imperiale erano vere aziende che producevano e vivevano aldilà della presenza del padrone, che spesso trascorreva lì solo l'otium, periodo di vacanza. Nelle ville rurali si praticava l'allevamento e si producevano olio e vino destinati all'esportazione.
La villa è situata vicino alla villa di Settefinestre, e probabilmente entrambe appartenevano alla famiglia dei Sestii. La posizione di queste due ville era strategica: la via consolare Aurelia ed il porto di Cosa assicuravano infatti una rapida commercializzazione.
La villa delle colonne fu edificata intorno al 40 a.C., comprendeva l'abitazione padronale e, separati, gli alloggi servili, magazzini, stalle, rimesse ed ambienti produttivi, 125 ettari di terreno coltivabile ed altrettanto di bosco e pascolo. Nei primi anni la villa produsse prevalentemente vino: lo attesta la presenza di torchi ed il serbatoio vinario presso la cantina. Dalla fine del I secolo d.C. la produzione dei cereali e l'allevamento soppiantarono la viticoltura. La struttura fu adeguata alle nuove esigenze, sacrificando la residenza nobile a favore di magazzini per lo stoccaggio di grano. Circa un secolo più tardi la villa giacerà in stato di abbandono.
Oggi parte della costruzione è occupata da una casa privata. è visibile solo il muro turrito che circondava un giardino.
La si raggiunge percorrendo la via Aurelia in direzione Roma e prendendo a sinistra la strada Pedemontana in direzione della frazione di Giardino. Dopo un centinaio di metri, a destra, è visibile la recinzione turrita.
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografia di Archivio Effigi.
Il testo di questa scheda è coperto da Copyright e ne è quindi vietata la copia, la riproduzione anche parziale o l'utilizzo con qualsiasi mezzo.
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La Villa di Settefinestre è una imponente villa romana situata in località Giardino, tra Orbetello e Capalbio, e si chiama così per la presenza di archi nel criptoportico che si aprono alla base del corpo centrale della villa. I resti della villa furono riportati alla luce dall'archeologo Andrea Carandini nelle campagne di scavo condotte tra il 1976 ed il 1981. Si tratta di complesso di grandi dimensioni: circa due ettari al centro di una proprietà agricola di 250 ettari.
La villa fu costruita nel I secolo avanti Cristo ed era di proprietà di Lucio Sestio, un aristocratico romano, amico di Cicerone, che aveva possedimenti sparsi nell'agro cosano.
La struttura era composta da un poderoso corpo centrale a pianta quadrata, con pars urbana e pars rustica rigorosamente separate, e da altri edifici rustici, giardini, orti, frutteti e, più in là, campi coltivati, pascoli e bosco,
La villa romana di Settefinestre costituisce il miglior esempio, finora noto, della villa perfecta descritta da Varrone nel De re rustica (37 a.C.).L'area archeologica si trova accanto alla omonima Villa Settefinestre, castellare fortificato costruito dagli Spagnoli nel 1500 sopra i resti della villa romana ed attualmente proprietà privata.
Treccani.it - Settefinestre
Archeotoscana - I Mosaici di Settefinestre
Artista Viaggiatore - Nuova vita per i mosaici della villa delle Sette Finestre
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Musei di Maremma - Museo Archeologico di Orbetello, Andrea Semplici, Edizioni Effigi, 2016.
Fotografie di Archivio Effigi [1,2], Walter Fioramonti [2,3,4,6] e Comune di Orbetello [7,8,9,10].
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Il Castello di Capalbiaccio "è un'antica rocca di Capalbio, di cui restano appena poche vestigia con una torre semidiruta sulla sommità di un poggio a 5 miglia toscane a libeccio dell'attuale castello di Capalbio e altrettante a greco di Ansedonia". Così lo descriveva Emanuele Repetti (1776-1852) nella sua opera principale il
Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana.
Il complesso, originariamente chiamato Castello di Tricosto, nel XII secolo è citato come appartenente all'Abbazia delle Tre Fontane di Roma; successivamente fu possedimento degli Aldobrandeschi ed in seguito degli Orsini. Nel 1416 fu conquistato dai senesi che nell'anno successivo ne decisero la distruzione.
Negli ultimi anni del '900 sono state condotte varie campagne di scavo che hanno riportato alla luce i resti dell'originario insediamento fortificato.
Il castello di Capalbiaccio si presenta sotto forma di ruderi e si distinguono due parti; una più piccola, priva di edifici, delimitata da un muro ed una più estesa dove affiorano i resti di un borgo fortificato, di una torre e di una chiesa.
Lo si raggiunge percorrendo la strada Pedemontana e girando a sinistra all'incrocio di Capalbio Scalo; si percorre la S.P. 149 per circa 1,5 km, quindi si prosegue lungo la strada di Capaliaccio per circa 1 km.
Testo tratto dal libro: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012 e da Wikipedia- Castello di Capalbiaccio.
Fotografia di Archivio Effigi.
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Il Forte di Macchiatonda, situato sull'omonima spiaggia nel comune di Capalbio, fu costruito nel Seicento dagli Spagnoli con funzioni di avvistamento all'estremità meridionale dello Stato dei Presidi.
L'edificio, a pianta quadrangolare, conserva sugli angoli dei pilastri obliqui che simulano un basamento a scarpa e conferiscono al complesso un aspetto potente.
Agli inizi dell'Ottocento il Forte di Macchiatonda entrò a far parte del Granducato di Toscana e fu presto disarmato in quanto, finita la lotta alla pirateria, non sussistevano più le ragioni per cui era stato realizzato.
Da allora il complesso è andato incontro ad un lungo periodo di degrado che si è concluso dopo quasi due secoli con il restauro e la trasformazione in country club.
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di Archivio Effigi [1] e di autori ignoti [2,3]
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Area protetta Lago di San Floriano
Comune di Capalbio
Gestione: Provincia di Grosseto
Anno di istituzione: 1998
Superficie : 30 ettari
Il Lago di San Floriano è situato nell'entroterra pianeggiante poco a nord del lago di Burano, ai piedi della collina sulla quale sorgono i resti del castello di Capalbiaccio e si raggiunge percorrendo la strada provinciale pedemontana che collega l’Aurelia, nei pressi di Ansedonia, con Borgo Carige.
Il Lago di San Floriano rientra tra le zone umide protette e i siti di interesse comunitario della provincia di Grosseto per il grande valore che questa area riveste per l’avifauna acquatica. Occupa una superficie di 30 ettari all’interno del Comune di Capalbio.
San Floriano è anche una zona acquata di grande pregio paesaggistico, caratterizzata da alcune fitocenosi di particolare interesse con notevoli associazioni a Nynphaea alba e Polygonum anphibium.
La vegetazione è rappresentata anche da canne palustri, ninfee, giunchi, lenticchie d’acqua, mentre tra la fauna ittica è costituita soprattutto da cavedani, pesci persici, carpe, trote, tinche e anguille.
Tra le specie di uccelli più significative si segnalano il beccaccino, l’airone cenerino, la moretta e il moriglione. Nelle aree circostanti sono presenti lepri, cinghiali, volpi, tassi e istrici.
Testi e immagini tratti su concessione da "Maremma Riserva di Natura" Provincia di Grosseto - Servizio Conservazione della Natura U.O. Aree Protette.
Fotografia di Andrea De Maria [1].
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Situata tra il lago di Burano e il mare, è l'ultima torre costiera della Toscana meridionale. Si trova all'interno dell'Oasi del WWF, ed essendo di proprietà privata non à visitabile (salvo in rare occasioni come ad esempio nella festa dell'Oasi). Fu costruita dagli Spagnoli intorno al 1600 come primo avamposto militare dello Stato dei Presidi al confine con lo Stato Pontificio, probabilmente al posto di una preesistente struttura di epoca medievale. La tipologia architettonica ricorda la Fortezza di Porto Santo Stefano, con basamento quadrato a scarpa e la terrazza sommitale più larga, sorretta da mensoloni. L'ingresso al piano abitato, situato a circa cinque metri da terra, è costituito da una piccola porta cui si accede tramite una gradinata interrotta da un ponte levatoio. Le pareti si presentano prevalentemente rivestite in pietra e si caratterizzano per un notevole spessore tra i due e i tre metri. La torre, alta circa otto metri e di aspetto massiccio, serviva soprattutto per l'avvistamento e la segnalazione: una fumata di giorno o un fuoco di notte consentivano di mettere in allarme sia i presidi sul litorale che quelli all'interno della Rocca Aldobrandesca di Capalbio. Nei primi anni del Novecento Giacomo Puccini, amico ed ospite della famiglia Collacchioni, proprietaria della maggior parte del territorio capalbiese, era solito trascorrere qui dei periodi di vacanza, dilettandosi in battute di caccia nel lago e al cinghiale.
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di Archivio Effigi [1,3,4] e Andrea De Maria [2].
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Comune di Capalbio
Gestione: WWF
Anno di istituzione: 1980
Superficie: 410 ettari
La Riserva del Lago di Burano, riconosciuta anche come Zona di Importanza Internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar, è stata istituita nel 1980 ed è gestita dal WWF. Occupa una superficie di 410 ettari compresi tra Ansedonia e il Chiarone, di cui 140 occupati dal lago.
Partendo dal mare la vegetazione che caratterizza la spiaggia comprende gigli di mare, soldanelle di mare e santoline, cespugli di ginepro fenicio e coccolone. Il sottobosco è formato da lentisco, mirto, fillirea, erica e ginepro, mentre la macchia è composta da leccio, sughere, roverelle, corbezzoli. La fauna abbonda soprattutto d'inverno quando si possono osservare oche selvatiche, gabbiani, anatidi, fenicotteri ed aironi.
Fra le molte specie di uccelli acquatici che sono stanziali, o che si fermano per un breve periodo, durante le migrazioni, ricordiamo la folaga, la moretta, il moriglione, il germano reale ed il mestolone (simbolo dell'Oasi WWF), il porciglione ed il martin pescatore. Tra i rapaci, sono presenti falco di palude e falco pescatore. La macchia è popolata da uccelli silvani come capinere e pettirossi. Numerosi i daini. Nella macchia e tra le radure sabbiose della duna vivono l'istrice, il tasso, il coniglio selvatico, la volpe, il cinghiale, la puzzola e il riccio, testuggini terrestri e palustri, cervoni, vipere, biacchi, saettoni, lucertole e ramarri.
Al centro del tombolo che separa il lago dal mare si trova la Torre di Buranaccio.
WWF Italia - Lago di Burano
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di Andrea De Maria.
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"Nel 1955 andai a Barcellona e vidi per la prima volta il meraviglioso Parco Guell di Gaudì. Capii che mi ero imbattuta nel mio maestro e nel mio destino. Tremavo in tutto il corpo. Sapevo che anche io, un giorno, avrei costruito il mio Giardino della Gioia. Un piccolo angolo di paradiso. Un luogo d'incontro tra l'uomo e la natura. Ventiquattro anni più tardi mi sarei imbarcata nella più grande avventura della mia vita: il Giardino dei Tarocchi... Questo giardino è stato fatto con difficoltà, con amore, con folle entusiasmo, con ossessione e, più di ogni altra cosa, con la fede. Niente e nessuno avrebbe potuto fermarmi. Come in tutte le fiabe, lungo il cammino alla ricerca del tesoro mi sono imbattuta in draghi, streghe, maghi e nell'Angelo della Temperanza".
Niki de Saint Phalle
Niki de Saint Phalle nacque in Francia nel 1930, crebbe a New York e si trasferì di nuovo in Europa nei primi anni Cinquanta, epoca in cui iniziò la sua attività artistica. A Barcellona scoprì l'architettura di Gaudì, la cui influenza sarà presente in tutte le sue opere. Negli anni Sessanta lavorò insieme a Jean Tinguely, Robert Rauschenberg e Jasper Johns. Negli anni Settanta iniziò la produzione delle sculture "Nanas" e realizzò due film. Dal 1979 si concentrò principalmente sulla costruzione del Giardino dei Tarocchi, anche se contemporaneamente la sua fama divenne tale da richiamarla spesso in Francia, dove fu lo stesso Presidente François Mitterrand a commissionarle la Fontana per la piazza del Municipio a Chateau-Chinon e la Fontana Stravinsky al Centro Georges Pompidou a Parigi. Nello stesso periodo furono realizzate retrospettive a Bonn, Glasgow ed a Friburgo e fu lanciata una linea di profumi per finanziare il Giardino. Gli anni Ottanta videro l'artista impegnata nella lotta all'Aids, con la pubblicazione del libro Aids: you can't catch it holding hands, che scrisse ed illustrò. Dal 1994 al 1997 realizzò con l'architetto Mario Botta una monumentale Arca di Noè per la città di Gerusalemme ed un Angelo alto dieci metri per la Stazione ferroviaria di Zurigo. Morì a San Diego, California, nel 2002.
Le sue opere si trovano in tutto il mondo, da Parigi a Los Angeles, da Stoccolma ad Osaka, ma la più alta espressione della sua arte e la maggiore concentrazione di lavori, con un progetto unitario, si trova proprio a Capalbio. Lo spicchio di macchia mediterranea in cui il Parco prese vita fu donato dalla famiglia Caracciolo all'artista. Durante la sua costruzione, cambiò e soprattutto ampliò il progetto più volte, nonostante sospensioni a causa della salute.
Il parco realizzato dal 1979 al 1996, è un vero viaggio nel sogno e nell'immaginazione. Il Giardino dei Tarocchi è un'opera d'arte out sider, essendo percorribile diventa anche un'opera architettonica, è un progetto complesso ed unico realizzato come un percorso spirituale intimo, un diario di vita sincero.
"Molte difficoltà ho incontrato durante il percorso: la salute, le finanze, la solitudine. Oggi vedo che tutte queste difficoltà facevano parte dell'itinerario iniziatico che dovevo percorrere per avere il privilegio di creare questo giardino".
è una delle più alte espressioni d'arte ambientale, cioè della sintesi creativa della volontà dell'uomo di riconciliarsi con la natura dopo l'esperienza dell'urbanizzazione e dell'industrializzazione, e ciò nonostante, è possibile la lettura di una scala urbana del Giardino. C'è infatti una porta d'ingresso, una piazza centrale, una torre, degli attraversamenti, portici. La componente esoterica è forte e leggibile come in un grande tavolo sul quale sono scoperte le carte dei tarocchi, rappresentate da sculture alte fino a 15 metri, di grande tensione cromatica. Le opere rappresentano i ventidue arcani maggiori e furono realizzate con strutture di ferro ricoperte da una rete da gettata, a costituirne lo scheletro. Rivestite con mosaici di specchi, ceramiche sagomate e lavorate sul posto, vetri di Murano. La loro struttura rende le opere antisismiche.
L'ingresso con la biglietteria fu progettato dall'architetto ticinese Mario Botta, ed è rappresentato da un imponente muro di tufo che divide la realtà del mondo dalla magia del Giardino. Qui si dissolve il concetto di tempo. Lungo il percorso si incontrano Il Mago, la Papessa e la Ruota della Fortuna, che fu trasformata in una fontana d' acqua che sgorgava dalla bocca della Papessa da Jean Tinguely, marito di Niki. Per l'artista il Mago rappresenta Dio, la creazione, l'intelligenza attiva, l'energia pura, mentre la Papessa è l'intuizione, l'irrazionale, l'inconscio. Accanto troviamo la Forza, in forma di fanciulla che domina un feroce drago, tenendolo con un guinzaglio invisibile, in realtà il mostro che la donna deve ammansire è dentro di lei; vincendo contro i demoni interiori sarà consapevole della sua forza. Con la forma di un grande uccello ecco il simbolo della forza vitale: il Sole, da cui si raggiunge la Morte, ovvero il rinnovamento. Grazie alla coscienza della morte, infatti, possiamo liberarci dalle vanità della vita, rappresentate da vari elementi falciati dalla Nanà dorata che cavalca un destriero ammantato d'azzurro. Tra i cespugli di lentisco si nasconde il Diavolo, che per l'artista rappresenta l'energia, il magnetismo, ma anche la dipendenza da sostanze tossiche e quindi la perdita della libertà spirituale e personale. Il Mondo sovrastato da una Nanà azzurra gira grazie alla sottostante scultura cinetica (Tinguely), ed ha accanto il Folle, che compie il suo pellegrinaggio spirituale. Tornando indietro si incontra il Papa, cioè la saggezza spirituale di un santo, un guru, un profeta. L'Impiccato è dentro l'albero della vita, e dalla sua posizione osserva il mondo sottosopra, mentre la Giustizia, una grande figura femminile, include dentro di sé l'ingiustizia, una scultura cinetica di Tinguely, chiusa dietro un cancello. Gli Innamorati sono simboleggiati da Adamo ed Eva, la prima coppia, impegnati in un pic-nic. L'Eremita è un girovago in cerca di un tesoro spirituale e allude a lezioni importanti che si imparano con il cuore, la sua versione femminile è l'Oracolo, in cui, su suggerimento della stessa artista, si può entrare ed ascoltare il suo messaggio. La Torre ricoperta di un mosaico di specchi si staglia sopra la vegetazione ed incombe con il suo monito: se le complesse costruzioni mentali dell'uomo non sono fondate su basi solide, sono destinate a crollare. "Bisogna rompere le mura della mente in modo da poter guardare oltre", dice l'artista, che pone una scultura di Tinguely a simboleggiare il fulmine che spacca la torre. L'Imperatore è un'opera complessa, in cui si può entrare, camminare e sedersi. è un castello il cui interno è sorretto da colonne rivestite da specchi e ceramiche e che ospita la Lussuria, la fontana con donne che giocano con l'acqua. è il simbolo dell'organizzazione e dell'aggressività, della scienza, della medicina, ma anche delle armi e della guerra; è colui che controlla e conquista. Questo è il motivo per cui qui si trovano scene di caccia, draghi ed uomini feriti. Con la forma di una sfinge incontriamo l'Imperatrice: madre, emozione e civiltà. Entrando in questa ciclopica scultura si apre un metafisico mondo domestico, interamente rivestito da specchi; è nell'intimità di questo immaginifico ambiente che si percepisce ancora la presenza di Niki de Saint Phalle: "Ho vissuto per anni all'interno di questa madre protettiva ed era anche il luogo d'incontro con coloro che lavoravano a questo progetto.. su tutti noi la Sfinge ha esercitato il suo fascino fatale". Oltre alla cucina, al soggiorno, al bagno con doccia ed alla camera da letto, dentro all'Imperatrice si trova il Carro della vittoria, il trionfo sui nemici e sulle avversità.
Poi la Stella ed il Giudizio: la prima ha due brocche in mano da cui sgorgano zampilli d'acqua che, cadendo, si trasformano in un ruscello. è l'acqua del rinnovamento, è la natura e la sua abbondanza, è la conoscenza delle leggi segrete dei cieli e della terra. Nel Giudizio tre figure emergono da una tomba, hanno diverse età: è un invito ad "unirci agli altri, elevarci e diventare UNO con l'universo".
La Temperanza è una piccola cappella sormontata da un angelo. All'interno è rivestita da specchi su cui spicca una Madonna nera circondata da fiori e cuori in maiolica. Bellissimo il pavimento di piastrelle che rappresentano la luna nelle varie fasi e le stelle. "La Luna riflette la vita interiore, misteriosa, enigmatica" ed è legata al grande potere dell'immaginazione.
Altri artisti realizzarono opere all'interno del Giardino, come Pierre Marie Le Jeune che costruì le panchine e le sedie che si trovano all'interno dell'Imperatrice; Marina Karella creò la scultura che si trova all'interno della Papessa e, naturalmente, Jean Tinguely. Lasciando il Giardino, con ancora negli occhi la sfavillante sequenza di forme e colori, non possiamo non pensare che esso, pur con tutti i suoi significati esoterici, è un grande omaggio di Niki a Capalbio: una torre, dei camminamenti, una piazza, il borgo ritratto e reinterpretato con il linguaggio dell'arte e dell'immaginazione. Per la sua peculiare struttura ed il suo delicato equilibrio, con lo scopo di preservare l'atmosfera magica che si respira nel giardino, le visite sono possibili solo in alcuni periodi dell'anno, limitate in fasce orarie predeterminate, per un numero ristretto di visitatori. Per desiderio dell'artista inoltre, al fine di salvaguardare la libertà di movimento dei visitatori, non sono previste né visite guidate né un itinerario precostituito.
Testi e immagini tratti su concessione dai libri: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012; Capalbio - Storie di un castello, Felicia Rotundo e Bruno Mussari, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di Andrea De Maria.
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Il palazzo del Chiarone è situato lungo la via Aurelia nei pressi della frazione di Chiarone Scalo e nelle vicinanze del torrente Chiarone che segna il confine tra la Toscana e il Lazio.
Il granduca Leopoldo II (1824-1859) durante il suo regno decise di creare ex novo un sistema doganale efficiente sia per lottare contro il contrabbando, sia per adeguare il controllo fiscale operato dallo Stato alle nuove realtà commerciali. Tra il secondo e terzo decennio dell'Ottocento furono costruite nuove dogane in tutti quei luoghi dove fervevano gli scambi commerciali, soprattutto sul litorale: a Follonica, Portiglioni, San Rocco, Talamone, Porto Santo Stefano, Chiarone, Pescia Fiorentina, che si aggiunsero così a quelle già realizzate da Pietro Leopoldo a Castiglione della Pescaia, La Trappola, Pitigliano, ecc.
Nel territorio di Capalbio, nell'occasione della sistemazione e costruzione del nuovo tracciato della via Aurelia, fu realizzato, dopo il 1830, l'edificio oggi denominato Palazzo del Chiarone, ovvero l'antica Dogana posta al confine con lo Stato Pontificio, destinato a locanda e dogana.
L'edificio, oltre al controllo del passaggio delle merci, aveva lo scopo di arginare l'ingresso dei briganti in fuga dallo Stato del Papa.
Il fabbricato, prospiciente la via Aurelia, fu realizzato in stile neorinascimentale e presenta la facciata caratterizzata da un ampio loggiato al piano terra composto da cinque arcate centrali e due laterali, coperto con volte a botte. Il loggiato termina con un ampio terrazzo accessibile dal primo piano. L'edificio ha pianta a forma di 'C', con un cortile racchiuso da un alto muro. La copertura è a padiglione ed è caratterizzata da numerosi camini tipici delle strutture di accoglienza. Tutti i prospetti presentano aperture regolari con cornici in pietra scandite da una rigorosa simmetria; al piano terra le porte e le finestre sono sovrastate da lunette tamponate.
L'interno manifesta ancora l'eleganza e l'ampiezza originarie. Al piano terra si accede dal loggiato tramite tre ampi portoni in legno. Il portone centrale costituiva l'ingresso principale, quelli ai lati l'ingresso ai locali di servizio. Il piano terra era caratterizzato da grandi ambienti in parte coperti con volte a botte, in parte da solai in legno di larice. I locali erano destinati a varie funzioni: ufficio doganale, ricovero delle merci, cucina con dispensa, mensa, dormitorio, oltre ad un piccolo alloggio del corpo di guardia che aveva un ingresso indipendente dall'esterno e un vano destinato a cappella. Interessante è il piano mezzanino, cui si accedeva da una scala di servizio, articolato in tre alloggi destinati probabilmente alla guarnigione che aveva il compito di controllare il dormitorio, la cappella e la mensa, ovvero gli ambienti più frequentati da persone esterne all'organico di servizio. Un'imponente scalinata centrale con gradini in pietra e pareti decorate, conduceva ai due piani superiori destinati agli alloggi del personale della dogana e ai viaggiatori caratterizzati da vani molto ampi, con soffitti in legno di larice e numerosi caminetti.
L'uso pubblico dell'edificio, destinato a dogana, cessò con l'annessione al Regno d'Italia del Granducato di Toscana prima e dello Stato Pontificio poi.
L'immobile fu successivamente venduto, intorno al 1870, ai principi Colonna-Rospigliosi del ramo della famiglia Ludovisi Buoncompagni che trasformarono l'edificio in centro dell'azienda agricola, modificando la disposizione planimetrica interna.
Durante la seconda guerra mondiale l'edificio fu occupato da numerose famiglie sfollate, provenienti soprattutto da Roma. Negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento il complesso fu abbandonato all'incuria e depredato di arredi, di suppellettili e di materiali da costruzione. Attualmente, acquistato dall'Università degli Studi 'Guglielmo Marconi' per adibirlo a sede universitaria, è in fase di restauro.
Testi e immagini tratti su concessione dal libro: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di Andrea De Maria.
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Gli edifici dell'antica Ferriera e Forno della Pescia Fiorentina, oggi non visitabili per lavori di restauro, si presentano come un complesso di rilevante valore storico e monumentale. La lavorazione del ferro nel territorio di Capalbio si sviluppò dagli inizi del 1400 (si hanno notizie di forni fusori in attività già dal 1416) e continuò fino alla fine del XIX secolo. Nel 1615 un ispettore del Granduca Cosimo II, parla di "vivace attività", essendo in funzione due fuochi ed un maglio. Durante il granducato di Leopoldo II d'Asburgo Lorena fu dato un grande impulso alla lavorazione della ghisa e da venti lavoranti nel 1839, la ferriera contava nel 1850 140 operai impegnati su 4 forni ed un altoforno. Dal 1778 il complesso fu di proprietà della famiglia Vivarelli Colonna, e alla fine dell'attività industriale concorse anche la prematura scomparsa di Francesco (1865).
Nel 1880 gli edifici erano già adibiti ad uso agricolo.
Testi e immagini tratti su concessione dai libri: Capalbio - alla scoperta del borgo e del territorio, Fabiola Favilli, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012; Capalbio - Storie di un castello, Felicia Rotundo e Bruno Mussari, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012.
Fotografie di Andrea De Maria.
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La torre di Selva Nera è una fortificazione situata nell'omonima località del comune di Capalbio, nei pressi della frazione di Chiarone Scalo, in prossimità del litorale, e risulta essere la torre di avvistamento più vicina al confine regionale con il Lazio.
Il complesso fu costruito dai Medici tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento dinanzi all'estremo lembo costiero meridionale del territorio del Granducato di Toscana
La torre svolgeva principalmente funzioni di avvistamento, per evitare che eventuali incursioni dal mare potessero mettere a rischio il vicino centro di Capalbio situato sulle prime propaggini collinari dell'entroterra.
La struttura fu gradualmente dismessa nel corso dell'Ottocento e, in seguito, ceduta a privati per uso abitativo. Successivamente, la fortificazione ha subito alcune trasformazioni, essendo venuta a trovarsi addossata ad altri edifici abitativi.
Testi e immagini tratti da Wikipedia Torre di Selva Nera
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Il Castelliere di Monteti si trova sulla cima del colle omonimo, ad est di Capalbio. Il castelliere, di forma circolare, ha un diametro di circa 110 metri. Il muro ha uno spessore di 2 metri.
Il Castelliere di Monteti, per quanto abbiamo potuto verificare, viene citato per la prima volta da Giorgio Santi, professore di storia naturale all'università di Pisa, nel suo Viaggio Secondo per le due Provincie Senesi, 1798.
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